16 ottobre 2025

basketball diaries, the real


 

I diari della pallacanestro è un libro di Jim Carroll, musicista e scrittore. Di natura autobiografica narra le vicende del protagonista e dei suoi amici tra disagio, campetto di basket ed eroina. Nei sobborghi di New York evidentemente la pallacanestro non era così potente. A Roma, noi, preferivamo giocare.


La passione spietata di un giovane artista inizia come un bacio, prosegue come una maledizione.

(Jim Carroll, eight poems for Kurt Cobain)


I campetti erano dei preti, per lo più. “Vuoi giocare? Vieni a messa” o qualcosa del genere. Ci piaceva giocare e stare insieme per cui il ricatto si tollerava, in qualche modo.

La pallacanestro era una cosa diversa, non si faceva goal, i contatti erano proibiti dal regolamento e, soprattutto, non si giocava coi piedi. Quando prendevi a calci un pallone questo pressoché immediatamente produceva una bolla di camera d'aria nera che fuoriusciva dalla frattura dell'arancione attorno; il bozzo lo chiamavamo. Al pallone col bozzo restavano pochi giorni di vita, riuscivamo all'inizio a giocarci lo stesso nonostante questo rimbalzasse tendendo a cambiare direzione, quasi fosse una di quelle palle pazze comprata al distributore delle gomme da masticare. Noi, stoici, folli e disorientati comunque giocavamo, il bozzo aumentava di dimensioni e infine, consumato da una situazione spinta oltre ogni limite, si bucava. Sgonfio, deforme restava sul terreno, sotto al canestro. Noi lo guardavamo con un misto di rabbia, delusione ma anche gratitudine negli occhi, per aver resistito così eroicamente fino alla fine.

Devo dire che messa giù così era una pallacanestro che in effetti poteva fare da prodromo all'eroina, di certo più delle canne verrebbe da pensare. Per questo, ma non solo, tendevamo a essere parecchio aggressivi nel momento in cui un povero disgraziato tanto cortese quanto ignorante (nel senso che ignorava tutta la tirata del bozzo e delle sue conseguenze) faceva anche solo il gesto di restituirci la palla sfuggita dalla recinzione del campo con un calcio di mezzo collo esterno: “oooooooohhhhhhh caazzzzoo faiiiii? Noooooo!”


Al netto di preti, messe, bozzi e palloni ingovernabili noi non eravamo come gli altri. Noi non giocavamo a pallone, giocavamo con il pallone e lo facevamo con le mani e questa cosa ci distingueva, in qualche modo. Eravamo differenti e chissà se per questo l'eroina, alla fine, ci avrebbe solo sfiorati.


on air/who is he : : bill withers

photo : : il Nero

Nessun commento:

Posta un commento