C'è una macchia sul muro, nera, tonda, che sembra un buco. Lo stesso che sento nel cuore, nero, tondo. Ho superato la quarantina, un buon lavoro, una famiglia, mi si potrebbe definire un uomo realizzato ma, ché in questi casi ci sta bene un "ma", c'è qualcosa che devo nascondere. Come dice Shakespeare, dietro ogni grande patrimonio c'è un grande delitto. Ho rubato, certo tanti rubano, ho tradito, e anche questa è cosa diffusa, ho mentito e imbrogliato. Fin qui niente di nuovo, e qualcuno potrebbe accomunarmi a buona parte del paese, quella che decide, legifera, informa. Quella che conta, insomma.
C'è però una differenza sostanziale. Io mi sento in colpa. E soffro per ciò che ho fatto.
Mi sento talmente male che da qualche tempo vado da una terapeuta, una di quelle che non hanno bisogno di lettino e diplomi appesi al muro per farti sapere che sono bravi, no. Lei è una persona che già quando ti accoglie e ti stringe la mano lo capisci che è quella giusta. Sarà la pelle, l'odore o i colori pastello che indossa, non so.
Non le ho confessato i miei crimini e, tanto meno, messa a parte della paura di qualcuno che possa vendicarsi. Parlo di me, della mia famiglia, del mio lavoro. Per aiutarmi a capire, dice, “dovresti provare a guardarti da fuori, hai presente quando suona il campanello e guardi chi è dall'occhiolino magico sulla porta? Oppure come se fossi in un'altra stanza a spiarti attraverso un buco nel muro.”
Penso che ha ragione, che appena tornato a casa dovrei provare e vedere cosa succede. Potrebbe davvero aiutarmi a capire e magari potrei pure stare meglio.
Così mi alzo e vado verso la macchia. E faccio finta che sia un buco.
Mi vedo, sul serio, mi vedo seduto alla scrivania, col portatile di fronte a picchiare sui tasti rapido come se stessi scrivendo le mie memorie o il testamento. Scrivo febbrile, urgente.
Sento una frenata fuori. Passi pesanti per le scale. L'io che scrive si alza, va alla porta e guarda fuori dallo spioncino. Lo sparo non lo sento, hanno usato il silenziatore, mi vedo catapultato indietro e cadere, un occhio sgranato e l'altro che non c'è più. Portato via da una pallottola a punta cava assieme a una certa quantità di materia cerebrale. Quella che conteneva idee malsane e sensi di colpa probabilmente, perché adesso mi sento meglio. Più leggero, quasi libero. Rimane solo questa strana sensazione di cadere all'indietro e guardare il muro con l'occhio che mi resta. Non c'è più la macchia. Un buco nero e tondo al suo posto e un filo di fumo che esce. Poi più nulla.
on air/
wax stag : : folk rock
on air/
wax stag : : folk rock