29 dicembre 2011

polvere di stelle....etciù


le nuvole nascondono un po' le cose del cielo, ed è per questo
che mi tocca stare coi piedi per terra

le cose da fare vanno fatte, mi dice la vocina dentro
e io ubbidisco, giudizioso, come al solito
soldatino, quadrato, massiccio e incazzato

ho poco tempo per pensare
guardare un po' lontano
tutto mi sta addosso e fatico anche a trovare un momento per scrivere
poi, quando lo trovo, faccio fatica con le parole

quelle non di tutti i giorni, quelle un po' più alte
quelle del cielo che le nuvole nasconde
quelle che guardano lontano, lontano

chissà dove


on air/

27 dicembre 2011

about writin'


intanto in questi giorni freddi e duri provo a scrivere sulla panchina al parco di mattina, in libreria di pomeriggio, al computer di sera e sui muri nei bagni dell'autogrill può essere la prossima frontiera.
c'è da pensarci, accanto a numeri di telefono e proposte di prestazioni sessuali, una poesia, due righe disarmanti che costringano il lettore, coll'arnese in mano intento a non farla fuori, a un sospiro, un piccolo gemito, l'ultimo schizzo sul bordo.
certo non è poetica come immagine, nel senso canonico, ma, in quello canonico potrebbe essere uno scatto meritevole. Tipo.


on air/

25 dicembre 2011

clickr





Lei mi ha regalato il corpo macchina della prima canon digitale reflex uscita una decina di anni fa. Su ebay con un po' di euri ho trovato un paio di obiettivi e adesso mi diverto un mondo a sbagliare inquadrature. Tra i tanti errori, come se non ne facessi abbastanza nel resto della vita e avessi l'esigenza di commetterne anche nel tempo libero, escono degli scatti stralunati, inattesi, persino belli. Come certi ricordi.
Sarà questa la difficoltà a declinare in tempo storico verbi tipo esagerare?


on air/

anna ternheim : : fly to the moon

24 dicembre 2011

sonic (no more) youth


non sono le parole
bensì voce
che mi cammina sotto pelle

sonni pomeridiani, sogni sonori
continuano a parlarmi
io che ascolto attento
a non farli uscire.


on air/

joshua james : : to be alone with you (sufjan steven cover)

17 dicembre 2011

purple


la prima cosa che devo fare è togliermi i sogni dalla testa,
appena alzato
acqua fredda sulla faccia la mattina
questo ho imparato

ogni livello ha un suo codice,
e concedersi un po' di confusione
è igiene di vita vera

rosso fuoco dentro, sangue in realtà
il solo modo che conosco è provare a scriverlo
oppure tenerlo dentro a trasformarsi

ho ricominciato perciò a stare neutro
immobile
a sentire cose
e stavolta non c'è dolore o sabotaggi
tace il corpo mio
c'è silenzi
e solo il rosso.
Infine porpora.


on air/

jazz k. lipa : : purple haze (jimi hendrix cover)

13 dicembre 2011

hyperfog


Ad annusare respiri, sospiri, si sanno cose delle persone
non solo se hanno mangiato aglio
per esempio se i piedi puntano verso lo spazio più aperto che c'è.

La nebbia è la pagina del libro che devi rileggere, perché qualcuno ti ha distratto in qualche modo, o forse solo perché eri stanco. Devi tornarci per andare avanti, per evitare di sbattere contro il muro che non vedi ma sai che c'è. Mi piace la nebbia, la pioggia, l'alta montagna ma anche la spiaggia lunga, le onde che sbattono forti e i laghi scuri. In piscina da piccolo piangevo, le urla dell'istruttore e l'odore del cloro mi stringevano la gola. Non ha carattere suo figlio, signora così dissero a mia madre. Lei gli credette e dopo un po' anche io. Poi uno zio con gli occhi celesti come una caramella mi regalò un manualetto americano primi '70, nuotare è facile come camminare campeggiava a grandi lettere il titolo. Ogni sera ne leggevo un po', era la mia bibbia. Un giorno d'estate in vacanza sul lago, decisi di fare il bagno da solo, e pian piano imparai guardando quelli più bravi di me. Ora nuoto per almeno un chilometro, ogni giorno.
La nebbia?
Sempre acqua.


on air/

the roots : : sunday bloody sunday/pride (U2 cover)

steffaloo : : let it die (feist cover)

8 dicembre 2011

undun




I muri sono le pagine bianche della nostra vita, sta a noi riempirle 

pensano larghi nei loro abiti XXL giovani writers col cappello da baseball messo al contrario
bomboletta sempre a portata di mano
quella scritta comparve sui muri appena ripuliti di un liceo, dopo il putsch di un preside oltremodo autoritario, in risposta
il muro andrebbe costruito da firenze in giù, è la convinzione di buona parte della popolazione di questo paese che vive nelle pianure fredde e umide del nord
il muro, adeguatamente usato, può essere utile in quei casi di lombo-sciatalgia dovuti al protrarsi di posture lavorative poco ergonomiche o comune malumore causato da un'attività sessuale scialba, sciatta, poco partecipata
ovvio che in questo caso diventi d'importanza capitale non il muro, quanto chi.
Al muro mi ci sento spesso messo con le spalle, e non è carino
no
allora, per reazione, ci sbatto la testa.
I muri hanno orecchi
certe volte sono maestri
altre volte c'è chi ci parla
i muri cadono, i muri crescono
al muro c'hanno messo un sacco di gente
anche per questo guardo con simpatia a giovani writers.
Anche per questo è giusto scriverci sopra.

on air/

the roots : : make my

3 dicembre 2011

ottusi




ottuso
continuo a provare a non cadere sentendo crolli dentro, come quando fai una buca nel bagnasciuga
già lo sai che le pareti non reggeranno e comunque scavi ancora un po'.
Lo stormo di uccelli sulla mia testa gioca alle figure che noi, qua sotto, si prova a indovinare, e non facciamo mai in tempo che tutto è già cambiato

del tramonto ricorderò sempre l'odore del rosso luminoso, diffuso, irreale e per questo foriero di sventure
certi uomini hanno sempre bisogno di qualcosa che li tenga sulla terra ché se li lasci andare non è detto salgano su come palloncini fuggiti a piccole mani.
qualcuno va giù, giù, giù. poi ancora un po', senza rimbalzare. Mai.

io? vivo d'inerzia
i miracoli esistono
non sono poi così rotondo e le mie giornate sono mai in discesa.

La signorina danza una vecchia hit di Madonna mentre fotocopia la cartella clinica di mia madre, un saltello, un "oh yeah!" e la macchina vomita fuori un duplicato dell'ultimo tracciato
l'ultimo ECG prima di morire.
Vorrei essere stormo, adesso. Cagargli sul parabrezza.


on air/
the roots : : redford (sufjan stevens cover)


25 novembre 2011

cuoredivetro


La notte è buia nei vicoli di Roma, fredda. Solo un vecchio cane vagabonda zoppo di una zampa rotta dalle fionde dei ragazzini. Rovista tra mucchi di immondizie lasciati negli angoli nascosti.
Ercole è un taxidermista, si dice sia bravo, il più bravo a Napoli, e i consiglieri del Papa, emissari del Sant'Uffizio, proprio ieri lo hanno convocato per un incarico importante.
Il cuore di Sant'Ersilio dev'essere vetrificato, cosicché lo si possa portare in giro, tra i fedeli.
E riscuotere le offerte, più di quante la gente sia disposta a sborsare in chiesa, meglio se la reliquia possa a pagamento lenire le sofferenze dei malati, esibendola nei sanatori, negli ospedali. Portare speranza a tutti coloro che l'hanno smarrita e ne abbisognano.
Ercole è felice, orgoglioso per questo suo compito, è un brav'uomo ed è davvero convinto dei poteri del cuore di un santo. Crede, prega, lavora, ha una moglie e un apprendista che lo aiuta in laboratorio. Di solito gli viene chiesto di imbalsamare cacciagione, falchi, fagiani, talvolta animali esotici dei quali non aveva mai nemmeno sospettato l'esistenza. Spesso anziane donne nobili, benestanti e sole, gli commissionano la conservazione dei loro scomparsi amati cani e gatti. Ercole ama il suo lavoro, sereno nel laboratorio lavora, prega, insegna l'arte al suo apprendista e si ritrova spesso a pensare alla sera, di quando tornerà a casa da sua moglie, giovane e avvenente.
Ercole però puzza di morte.
E alla moglie e al giovane apprendista, da qualche tempo segreti amanti, quella puzza fa spavento come la prospettiva di passare un'intera vita a contatto con lui e con quell'odore, a rischio di esserne, alla lunga, compenetrati.
Non vogliono diventare come Ercole.
Ed è così che decidono di dare una svolta alle loro giovani vite irrequiete, rubare il cuore del santo, fuggire a Roma, cercare di vendere la reliquia a qualche prete a corto di fedeli e domande imbarazzanti, per poi dileguarsi lontano dallo Stato Pontificio, ricominciare magari a Torino o a Genova dove l'apprendista ha un fratello che lavora al porto.
E a lei piace il mare.
Ercole è in laboratorio di mattina presto quando si accorge che il cuore sacro è stato rubato, ripensa al letto vuoto trovato al suo risveglio, anche se sua moglie è solita uscire prima dell'alba per, come diceva lei, governare la casa dei vecchi genitori che ormai non ce la fanno nemmeno a uscire per andare al mercato. Il ritardo del suo apprendista, inaudito proprio il giorno della consegna di un lavoro così importante, lo sgomenta. Ritorna con la memoria su piccoli episodi, tracce insignificanti, minuscoli tasselli che improvvisamente, quasi da soli, si riordinano a formare il quadro degli eventi. Ora che tutto gli è chiaro vorrebbe prendersi a schiaffi, insultarsi per non aver capito prima, per non aver impedito il furto del suo lavoro e la fuga del suo amore.
Ercole è spaventato.
Ma non c'è tempo per certe cose, se lo ripete cento e cento volte mentre pensa alle reazioni di chi tra poche ore verrà a ritirare la reliquia, il cuore di vetro del santo, che non adesso c'è più.
All'osteria ieri parlavano dell'esecuzione di un assassino, l'impiccagione di uno che aveva tagliato la gola al questurino di Portici, il poliziotto che aveva sparato al fratello minore il giorno della rivolta dei poveri e del saccheggio al mulino.
Un cadavere ancora fresco, un cuore che adeguatamente trattato, cotto come lui sapeva, poteva esser facilmente preso per buono da occhi inesperti.

La prima volta che venne esposto il cuore di Sant'Ersilio nel sanatorio vicino al porto, tanta e tanta gente si raccolse in preghiera, ammalati, parenti, poveri cristi, semplici devoti del santo. Fu come se l'aria fosse diventata improvvisamente solida, come se le preghiere si potessero masticare dopo averle inspirate, le cose e le persone avevano un colore nuovo, diverso, la luce era come se non entrasse più dalle finestre ma si diffondesse da ogni singola persona. Ogni parola, ogni preghiera risuonava rimbalzando sul cuore di vetro e tornava indietro in forma di luce. Almeno così sembrò ai tanti che assistettero alla scena. Poi molti pazienti cominciarono a stare meglio, qualcuno si alzò dal capezzale, dritto come un fuso e fra i malati gravi improvvisamente si susseguirono profondi sospiri di sollievo, aprirono gli occhi coloro che li avevano chiusi da tempo svegliandosi dal coma. Si cominciò allora a gridare al miracolo.
Si gridò così forte che la notizia viaggiò repentina.
"Non importa di chi è il cuore, conta solo la fede di chi lo invoca con la preghiera" pensò Ercole, l'unico che sapeva come davvero fossero andate le cose.
"E il cuore di un assassino può essere come quello di un santo."

La moglie di Ercole e l'apprendista vennero denunciati per tentata truffa qualche tempo dopo da un parroco che avvertì la questura di un maldestro tentativo di spacciare false reliquie, e vennero arrestati. Furono rilasciati qualche mese più tardi grazie a un'amnistia concessa dal Papa per i ripetuti miracoli che continuavano a manifestarsi lungo tutta la penisola.
Il vero cuore di Sant'Ersilio finì nella spazzatura.

Il vecchio cane annusa tra l'immondizia, rovista con la zampa ancora buona, prova a leccare quel pezzo di vetro, freddo eppure caldo, che sembra un cuore ma non si può mangiare. Poi si allontana, senza più zoppicare.

18 novembre 2011

back to my new home


è giorno di mani stanche e voce alta.
solo tra schegge d'asfalto nero e foglie morte
posso trovare un pensiero sussurrato,
di me.

on air/

the missing season : : there's a light that never goes out

3 agosto 2011

sabbia&coca-cola 2011, la macchia sul muro


C'è una macchia sul muro, nera, tonda, che sembra un buco. Lo stesso che sento nel cuore, nero, tondo. Ho superato la quarantina, un buon lavoro, una famiglia, mi si potrebbe definire un uomo realizzato ma, ché in questi casi ci sta bene un "ma", c'è qualcosa che devo nascondere. Come dice Shakespeare, dietro ogni grande patrimonio c'è un grande delitto. Ho rubato, certo tanti rubano, ho tradito, e anche questa è cosa diffusa, ho mentito e imbrogliato. Fin qui niente di nuovo, e qualcuno potrebbe accomunarmi a buona parte del paese, quella che decide, legifera, informa. Quella che conta, insomma.
C'è però una differenza sostanziale. Io mi sento in colpa. E soffro per ciò che ho fatto.
Mi sento talmente male che da qualche tempo vado da una terapeuta, una di quelle che non hanno bisogno di lettino e diplomi appesi al muro per farti sapere che sono bravi, no. Lei è una persona che già quando ti accoglie e ti stringe la mano lo capisci che è quella giusta. Sarà la pelle, l'odore o i colori pastello che indossa, non so.
Non le ho confessato i miei crimini e, tanto meno, messa a parte della paura di qualcuno che possa vendicarsi. Parlo di me, della mia famiglia, del mio lavoro. Per aiutarmi a capire, dice, “dovresti provare a guardarti da fuori, hai presente quando suona il campanello e guardi chi è dall'occhiolino magico sulla porta? Oppure come se fossi in un'altra stanza a spiarti attraverso un buco nel muro.”
Penso che ha ragione, che appena tornato a casa  dovrei provare e vedere cosa succede. Potrebbe davvero aiutarmi a capire e magari potrei pure stare meglio.
Così mi alzo e vado verso la macchia. E faccio finta che sia un buco.
Mi vedo, sul serio, mi vedo seduto alla scrivania, col portatile di fronte a picchiare sui tasti rapido come se stessi scrivendo le mie memorie o il testamento. Scrivo febbrile, urgente. 
Sento una frenata fuori. Passi pesanti per le scale. L'io che scrive si alza, va alla porta e guarda fuori dallo spioncino. Lo sparo non lo sento, hanno usato il silenziatore, mi vedo catapultato indietro e cadere, un occhio sgranato e l'altro che non c'è più. Portato via da una pallottola a punta cava assieme a una certa quantità di materia cerebrale. Quella che conteneva idee malsane e sensi di colpa probabilmente, perché adesso mi sento meglio. Più leggero, quasi libero. Rimane solo questa strana sensazione di cadere all'indietro e guardare il muro con l'occhio che mi resta. Non c'è più la macchia. Un buco nero e tondo al suo posto e un filo di fumo che esce. Poi più nulla.


on air/

wax stag : : folk rock

1 agosto 2011

sabbia&coca-cola 2011, scoperta


una cuffia dell'iPod mi scivola via dall'orecchio e la voce del bambino che è la prima volta che prende un treno mi buca
l'aria attorno è densa di pensieri domenicali, da che mondo è mondo il terrore del lunedì attanaglia solo chi è uso al lavoro.
le mie paure invece si sciolgono negli occhi azzurri di una piccola passeggera, mi guarda mentre scrivo e sembra intuire, ché i bambini spesso lo fanno
mi sorride, si riacciambella sul suo pelouche e guarda fuori passare veloci case, campi, pali della luce, montagne, piccoli paesi.

infilarmi di nascosto nei sogni della sorella maggiore, profondamente addormentata, per un momento mi pare l'unica via di fuga.

l'irrequietezza delle cime degli alberi avverte che si è alzato un gran vento, mentre una luce ghiacciata filtra tra le nuvole
sfuma contorni di cose lontane, confonde limiti, dilania dettagli.
Alzo gli occhi e c'è solo il bianco del cielo, il blu invece è ancora tutto lì
dentro di me.


on air/

pretty lights vs nirvana vs radiohead

26 luglio 2011

sabbia&coca-cola 2011, cose che il vento non scuote


odore di pietre
o la durezza di aria così trasparente
che se la respiri è più facile capire
il colore dell'ultimo attimo prima dell'ultima onda
sulla spiaggia che resta
l'incanto di un indugio
che la brezza porta via

io, lì 

un tronco che la mareggiata ha lasciato sulla sabbia. E biancheggiare.

21 luglio 2011

sabbia&coca-cola 2011, (di)versi(e)perpendicolari


l'eco del silenzio tra gli orti
risuona d'abbandono
lascia spazio alla menta
al finocchio, 
selvatici.

illuminano l'aria certi profumi
vibrano, 
seconde voci alla campana.
oggi non rintocca per una vecchia contadina
che se n'è andata
ma per tutta questa civiltà

morta, ormai.


on air/

anna rose : : my body is a cage

16 luglio 2011

sabbia&coca-cola 2011, a prequel

Nella mia città venti chilometri a quaranta all'ora non vuol dire necessariamente un viaggio di trenta minuti.

Alle due del pomeriggio il sole picchia forte di fine giugno, è quasi la festa di San Giovanni, la festa di Roma, quella vera, quella più antica. Non più sentita, sconosciuta alle nuove generazioni eppure prepotente come il solstizio d'estate.
Alle due del pomeriggio la mia pelle brucia e non posso togliere le mani dal gas o dal freno, la tangenziale richiede attenzione se viaggi su due ruote, le auto poco sopportano chi di solito le supera svicolando nel traffico. Poco sopportano tutto, gli automobilisti romani, ormai, e il caldo non aiuta.
Fermo al semaforo, accostato a un furgoncino che va' col volume alto il giusto, riesco a sentire i proclami di guerra radiofonici di Marione, il ministro Castelli ha appena dichiarato che qui siamo culturalmente arretrati.
Rido, appena un secondo, è scattato il verde e già dietro suonano spazientiti per il tempo di reazione non da centometrista del furgoncino. Lui li sfiora con lo sguardo dallo specchietto retrovisore, riparte sbuffando fumo nero, come fosse una seppia.
La signorina esce dallo svincolo senza freccia nè la minima preoccupazione per il mondo attorno, nella sua Smart parla al cellulare e ride, cazzo vorrà il mondo?
Guardo negli specchietti alla ricerca dell'evoluzione del soggetto, signorina più cresciuta, in carriera, mercedes classe A, iPhone, ma stile di guida e domanda esistenziale che restano immutati. Solo un minuto e me ne passano pericolosamente accanto almeno due. Il punto non è quanto vicine passino le auto, il punto è il tempo, una questione di timing, se l'auto ti sfiora mentre stai per incrociare una delle tante buche il problema è di una certa rilevanza. Leggere la strada, leggere il traffico, leggere il tipo di auto e relativa categoria di guidatore, mettersi nei panni dell'automobilista, ragionare come lui. Eppure, nonostante ogni precauzione, ogni attenzione, c'è sempre l'incognita con cui fare i conti. La strade a Roma sono elementi complessi, non lineari, piene di variabili.
Conoscere il tessuto sociale e le abitudini dei nuovi cittadini aiuta. Se un manovale rumeno alle sette del mattino fa colazione con una birra da 66 cl, come potrà guidare il camioncino alle quattordici? Spazio, dare spazio, calcolare metri, velocità, irregolarità del manto stradale, vivacità dello sguardo del guidatore che si accinge a superarti, o di quello che stai per sorpassare.
Poi d'estate la città si anima di lavori, i più svariati e fuori luogo, dalla creazione della nuova stazione Tiburtina agli upgrade del gas fatti il giorno dopo la riasfaltatura della strada. Così all'ennesimo restringimento a una sola corsia siamo tutti intrappolati nel caldo, sotto il sole, sopra una strada nera e bollente. Dal SUV nero davanti a me, sbuca un braccio tatuato all'inverosimile, con una schicchera il mozzicone della sigaretta vola via, verso il mio parabrezza. Bestemmio, do' gas, lo accosto e lo guardo negli occhi poi faccio il gesto di schiccherare un inesistente mozzicone verso il suo finestrino aperto. Capisce e si scusa, resto basito. Ecco la variabile impazzita. Il sospiro mi si strozza nella gola, una follia respirare quest'aria così calda. 
Arrivato a casa scendo dallo scooter, sono tutto un dolore, mi stiro poi faccio due passi verso la fontanella, devo darmi una sciacquata. L'acqua è così fresca, buona. E poi è ancora pubblica. 

3 marzo 2011

dalla finestra, teste di radio







Mi affaccio alla finestra, come ogni giorno, e getto il mio primo sguardo sul mondo. Ancora carico di aspettative e fiducia, la notte, evidentemente, ha portato riposo, non consigli.
La signorina con la sua nuova cinquecento scende veloce dall'auto e sculettando s'allontana poi si gira, distende il braccio armato di chiave a infrarossi e spara precisa la sua chiusura centralizzata. Ha occupato due posti, in un quartiere dove per un parcheggio le persone spesso vengono alle mani. Me la immagino cresciuta con la mamma che a pranzo le dice "perché non mangi lo stracchino? guarda che ci sono bambini in africa che non hanno nemmeno il pane"
Lei lo stracchino non l'ha mai mangiato, non è diventata obesa per compensare il senso di colpa nei confronti di altri bambini sconosciuti del terzo mondo, è comunque una stronza venuta su proprio bene.
Mi affaccio alla finestra, come ogni giorno e respiro un po' di quel veleno fuori. La cura giusta, omeopaticamente parlando.
I piccioni provano a circondare un gabbiano intento a sbocconcellare una cornacchia riversa sul marciapiede, a pancia in su già da ieri sera. Più grande e cattivo li tiene a distanza, malgrado il numero, malgrado la città, anche senza il mare.
Come ogni giorno sorrido. In attesa della signora del piano di sopra che batte il tappeto. Polvere sui miei pensieri, affacciato alla finestra.

26 gennaio 2011

traindog (a luciano bianciardi, letto in treno)

L'inizio del viaggio non è mai il momento migliore
il freddo ancora chi parte rimpicciolisce nel cappotto
e vede i suoi luoghi man mano scomparire
e i campi che scorrono veloci allaga gli occhi
cosa accadrebbe delle nostre anime, se.
figli di gente operosa e quieta
isole sotto il sole
terra che brucia in mezzo al mare.

on air/

robert glasper experiment : : stakes is high (de la soul cover)

21 gennaio 2011

gente che parla da sola sull'autobus

C'è un sacco di gente che parla da sola sull'autobus, la mattina.
E non parlano al telefono con cuffia e microfono. No. Parlano proprio da soli.
Si raccontano cose, così magari quelle cambiano, chissà.
La signora che incontro tutte le mattine sul 545 ripete la parola "bastardo" un numero infinito di volte, con intonazione monocorde, quasi fosse un mantra. Però, se presti attenzione, tra un'invettiva e l'altra ci mette delle parole chiave, adatte per aprire la sua storia: andato via, papà, puttana. Ci ho messo due mesi per capire che il marito è fuggito con la badante filippina di suo padre, al quale la questione deve aver spezzato il cuore che, data l'età, non ha retto. E nemmeno lei, evidentemente, perdere in poco tempo il marito e il padre deve averla fatta impazzire. Così ogni mattina si racconta com'è andata, per cercare magari un evento premonitore evidentemente sfuggitole, un segno inosservato, l'ipotesi che possa essere stata anche un po' colpa sua. Poi, invece no! "bastardo, bastardo, bastardo"
Sulla metro delle otto meno un quarto, il vagone di coda, quello più vicino all'uscita quando ferma alla stazione termini, è di conseguenza il vagone più affollato. Lì dentro ci trovo spesso un ragazzo schiacciato quasi dal peso dello zaino pieno di libri. Lo sento che prega ad alta voce, certe volte implora, altre ringrazia. Dipende dalla giornata, evidentemente.
Ad ogni fermata cambia faccia, diventa serio serio, si guarda riflesso nel vetro del finestrino e parla di tomismo, dell'allegoria della caverna, fenomenologia dello spirito e generi della conoscenza. Quando la metro riparte ricomincia con le sue litanie: venerdì l'altro una signora s'è avvicinata per sentire meglio, lui pareva non se ne fosse accorto, poi all'improvviso s'è girato e ha fatto "bù!"
La signora, dopo un balzo di un generoso paio di metri all'indietro, s'è fatta il segno della croce ed è scesa alla prima fermata utile. Probabile fosse nemmeno la sua.
Sul 905 una volta incontrai un vecchio che durante il tragitto fino al capolinea riuscì ad elencare date, armamenti, battaglie e scaramucce della campagna di Grecia nel '40. Ad un certo punto incespicò appena sul nome di un certo capitano di Verona, così per provare a se stesso che la memoria ancora non lo aveva tradito del tutto, snocciolò di filato tutta la sua compagnia, comandanti e sottufficiali inclusi. Scese salutando militarmente il conducente, che ricambiò il saluto.
Quando torno a casa non vedo l'ora di incrociare sul 409 "la principessa", come la chiamo io. Veste coordinata, sempre. Tailleur, sciarpa, cappellino, scarpe, guanti e borsetta in tinta: rosa antico, verde mare, azzurro carta da zucchero, giallo canarino e chissà quanti altri colori, nell'armadio. Pare proprio una donna d'altri tempi, però parla di politica e attualità. Informatissima, ha il solo difetto di mescolare tra loro notizie e personaggi. Un esempio? La nuova legge sull'università è una cosa sbagliata ed è colpa del grande fratello, la chiama “riforma Marcuzzi”.
Chissà cos'è che ti fa parlare da solo sull'autobus. Forse lo stress o i colpi della vita, magari la roba da mangiare che non è più quella di una volta oppure tutto questo traffico. Certe volte penso che magari, senza saperlo, pure io sono diventato un po' pazzo.

"direi proprio di sì"

disse ad alta voce la ragazza che gli era seduta accanto, alzatasi per scendere alla fermata, riordinando nel mentre lunghi dreadlocks di tutti i colori.

19 gennaio 2011

vedere ancora sogni mentre sputi dentifricio*

I sogni di mattina presto hanno un suono e il merlo che mi canta sotto le finestre deve necessariamente sentirli.
me li interrompe sfumandoli sul più bello tutte le volte.
al pennuto non gli piacciono i miei sogni.
la mattina.
presto.
bastardo.

on air/

the black keys : : girl is on my mind

*signature di certo zakka, amabile scrittore leggibile su scriptaVolant

10 gennaio 2011

spiaggia e puttana, stessa pronuncia

Passeggio lento per una spiaggia lunghissima con su ancora impresse le orme di due persone che qui ci hanno camminato fianco a fianco, chissà quando.
L'adriatico è quasi calmo e nel silenzio posso sentire centinaia di gusci che si scontrano sulla riva. Se mi chino sembra quasi cantino.
Un cane bianco corre velocissimo.
Se c’è un cane c’è anche un padrone, penso. Invece sono due. Sagome scure che posso vedere in lontananza, ancora.
La luna è quasi piena.
E la luce delle otto della sera del Mediterraneo è una luce bianca e fredda.
All’orizzonte c'è una nave, sta lì da parecchi giorni, in attesa dell’ordine di sbarco.
Appena sceso il crepuscolo, ha acceso le luci a bordo e calato un paio di gommoni con alcuni marinai che vanno a farsi un giro al porto. Li vedo già nel bar, mentre spiano da dietro i loro bicchieri la cassiera rumena, forse anonima e slavata ma bellissima ai loro occhi.
Lo sguardo veloce del marito italiano, padrone del bar, è in perfetto equilibrio tra gelosia, senso degli affari e sogno erotico. Riprende a sciacquare stoviglie scuotendo impercettibilmente il capo così come sto facendo anche io. E ricomincio a immaginarmi. Camminare piano al tramonto, dietro orme, sulla spiaggia.






on air/

6 gennaio 2011

times like this

Era vecchio ormai, capelli canuti e radi, arti smagriti, rughe profonde sotto gli occhi.
Non poteva fare a meno degli occhiali per leggere qualsiasi cosa che non fosse un cartellone pubblicitario.
L'unico contrasto alla barba candida era una bocca carnosa e rossa, la incorniciava, come a cingerla d'assedio.
Per questo forse ogni parola pareva sparo o esplosione.