7 ottobre 2012

captivus





Troppi vestiti invernali dentro l'armadio occhieggiano, mi guardano come avessi proprio bisogno di coprirmi
magari è solo che non ce la fanno più a stare chiusi lì dentro, al buio, assieme a vecchi jeans strappati, magliette lise e maglioni ormai sformati 
è che non ce la faccio a buttare via le cose che per tanto tempo mi hanno accompagnato 
non ce la faccio a liberarmi di certe parti di me 
forse dovrei, ma la storia mica dovrebbe finire così, nel secchio della spazzatura 
tanto comunque i conti continuerei comunque a farceli 
la tua storia va oltre lo spazio nell'armadio che non basta mai 
e anche se decidi di mettere ordine, il caos che ormai regola il mondo avrà sempre la meglio 
paradossale vero? 
più tempo spendiamo a sistemare le cose 
più le cose precipitano, disordinatamente 
più è pulito e a posto in casa 
più tutto è a ferro e fuoco, fuori 
sarà il caso di uscire e fare un giro? 
o restare in casa, ripensare alle storie 
provare a tirare fuori un ricordo, una parola, un volto dalla memoria 
magari un insegnamento 
e andare avanti 
cercando di non far caso al troppo nell'armadio 
o al limite, coprirsi 
ché il freddo arriva presto.


on air/

arms : : tiger tamer

9 settembre 2012

sabbia&coca-cola 2012, finisterrae


"La fine del mondo dipende solo da dove tutto è cominciato."


Seduto in riva al mare un vecchio guardava lontano. Una sciarpa attorno al collo e un milione di ricordi a stringere il cuore. Era come se le onde lenissero con ritmo regolare un dolore profondo. Il vecchio ci dondolava assieme, come cullato da mano tanto compassionevole quanto invisibile.
Rilassati pian piano i muscoli, la sua testa sembrò sgusciare fuori dalle spalle e gli occhi si posarono ancora un po' più lontano, oltre l'orizzonte. Le poche nuvole si dissolsero sotto il suo sguardo e tutto si confuse, scambiandosi di posto i colori del cielo e del mare. Un'onda più lunga delle altre lo riportò sulla spiaggia, col pensiero e con lo sguardo. Si alzò.
Camminò ancora, con uno scopo. Ancora.
Vagare alla ricerca della conchiglia perfetta, per sentirci il mare perfetto. Un sorriso perfetto si fece spazio tra le rughe. Una scintilla di sole riflessa negli occhi. 
A chi la vide sembrò proprio il lampo perfetto. Abbagliò il mare, se possibile. 
Di sette quello perfetto.


Il settimo mare fu rivelatore, di fronte al mio ombrellone giocavano altri bambini occupati a costruire castelli di sabbia. Io pensavo a quanto presto sarebbero caduti, già apprezzavo le macerie. Quel che resta di un crollo.
Frammenti, evidentemente, ma i più resistenti. I miei castelli sarebbero rimasti in piedi: poca sabbia e il ricordo della catastrofe in ogni atomo.

Il sesto mare è stato il più azzurro anche se il mondo era ormai a ferro e fuoco. La fattoria dei miei genitori era andata alla banca dopo il fallimento. Abbandonata, gli animali venduti a qualche macellaio, i campi incolti, la vigna distrutta. Rimaneva il grande albero di fronte il patio. Da lì sopra riuscivo a vederlo il mare.
Mi avvicinai, non so se con l'intenzione di arrampicarmici ancora una volta. Si accorsero di me le tante gazze che ormai lo abitavano, fuggirono con gran fracasso.
Il presente è così veloce che è meno fatica accostare il passato, ma lì non ci trovi granché di buono per il futuro.

Il quinto mare imparai a nuotare, uscito dall'acqua mi sdraiavo al sole e chiudevo gli occhi. La brezza mi portava l'odore di viaggi, mi bastava stare lì e ascoltare le voci lontane. Parole confuse, slegate, ricomposte solo dal profumo delle onde.

Il quarto mare, quello di mezzo, scosse l'anima mia. Rammento Amina, nera nera, del Senegal. Intrecciava i capelli con perline colorate alle bambine, sulla spiaggia. La guardavo mentre ogni tanto poggiava una mano sulle reni, per darsi un po' di sollievo. Guadagnava bene, Amina, e forse la parrucchiera del paese se ne lamentò con qualche balordo del posto. La tirarono su dall'acqua i pescatori che albeggiava appena.

Del terzo mare ricordo solo il sale. L'aurora era un urlo ai miei occhi. Passavo il mio tempo alla ricerca di qualcosa che facesse passare più velocemente il tempo che restava alla sera. Certe volte il tempo della ricerca è già trovare quel che serve anche se per guardare meglio si deve rivolgere le spalle al sole.

Il secondo mare me lo dissero profondo ma ero in là con gli anni e il mio tempo era un'ombra che si nascondeva tra mille altre.
Comunque mi tuffai.
Il primo respiro tornato in superficie fu buio e sgomento. E stupore.
Per quel mare ero solo l'ennesima anima persa in tanta grandezza, così nuotai veloce e con la testa fuori dall'acqua, così da poter respirare la luce. 
Strisciai sulla battigia, poi andai carponi.
Infine mi rialzai.

Il primo mare sto seduto sulla riva. E guardarlo.



on air/


5 maggio 2012

era di maggio






Un'altra tastiera, magari bianca e intonsa come questo foglio, potrebbe aiutare.
O un altro rumore
qualsiasi cosa che non sia il treno che ho nella testa
quella cosa che sembra stia sempre lì lì per deragliare
e che poi corre dritta per la sua strada.
Incrocia a tempo sincopato la mia che zigzaga, invece.
Il dolore al tallone non mi fa più eroe, Troie ce n'è in abbondanza
e di cavalli nemmeno l'ombra
i re hanno corone invisibili che portano con eleganza
e non ci sono bambini a dir loro che sono nudi.
Per la disperazione c'è sempre il tempo, sembra dire l'orologio della stazione
gocce di pioggia ormai asciutte sono righe perpendicolari a un dolore comune
binari e fetore, tic tac e attese inutili.
Le parole futili che trovi a fatica
si perdono tra quelle scritte sui muri
o che rimbalzano sussurrate negli angoli
al buio.
Gocce orizzontali
le parole che non trovi.
Non c'è ombrello che le fermi.
O una tastiera, bianca.


on air/

15 febbraio 2012

tutto su mia madre

Un post lungo quattro mesi, e poi la pianto qui. Con questa storia.



Le piccole cose che ci rinfrancano dopo l'ictus di mia madre

La vicina di letto di mia madre poco ci vede
male respira
niente ragiona

ha due figlie ma ne chiama sempre una sola: Laura. Di continuo, giorno e notte, e mia madre non riesce a dormire.
Anche i parenti sono molesti, strillano, strepitano e ridono ad alta voce. Mia madre apre appena l'unico occhio che riesce, ed è strabiliante la quantità di disprezzo che promana da così poca funzione residua.

La vicina di letto di mia madre si lamenta in continuazione, vuole essere spostata, messa su, messa giù, di fianco, sull'altro fianco, le infermiere la odiano al pari di mia madre.
Mia madre odia anche le infermiere, però.
Mio padre si chiama Nicola e a memoria di figlio non credo abbia mai odiato nessuno, ha poco meno di ottant'anni e il borsello, non che per me significhi qualcosa ma per certe persone sì.

La vicina di letto di mia madre che poco ci vede, mi chiama "signorina" e chiama mio padre "Pasquale" anche se suo figlio si chiama, si chiama...non mi ricordo, ma di certo non Pasquale.

Credo che mia madre la prenda per il culo quando non ci siamo noi parenti, anche se emiplegica non rinuncia ai piccoli piaceri della vita. Ieri sera ha chiesto a mio padre: "asciugami la fronte per favore, Pasquale" stando ben attenta a farsi sentire...

La vicina di letto di mia madre che si lamenta di continuo, chiama le infermiere ma le stronzette fanno orecchie da mercante, anzi da infermiera, così oggi la vicina di mia madre ha pensato bene di chiedere a mia madre di chiamarle in sua vece.
"non ci penso proprio, non ce la faccio, sono stanca, ho sonno e ho caldo" insomma deve aver risposto con una scusa tra le tante plausibili, mia madre è maestra in queste cose.

Così la vicina di letto di mia madre ha dato un colpo violento al comodino, rovesciandolo in terra, facendole volare una bottiglia d'acqua addosso e un'altra per la stanza, i fazzolettini, la carta asciugatutto, le salviette umidificate, il burro cacao per le labbra, la crema per le vene, il colluttorio...tutto per terra, tutto nella pozza d'acqua, al centro della stanza.

Ho paura della rappresaglia di mia madre, stanotte, col favore delle tenebre, suppongo.


Cose che girano e girano ma non ti fanno cadere

Tanti pensieri infarciti di ricordi, rimozioni, rimorsi.
Giorni di corsa, senza fiato, tolleranza zero
Le notti mi crollano sopra
Al mattino la bocca duole, come se il coltello che ho tra i denti alla
fine sia riuscito a masticarlo
Le prospettive non sono buone, ma almeno ci sono
Mio padre non molla l'osso, io non mollo mio padre
Preferisco lasciare pezzi di me in giro, ma non come si fa con mutande e
calzini, piuttosto come con le molliche
Con la speranza di dover prima o poi ritrovare una strada.

Il lavoro è fatica indicibile, eppure tutto ha un sapore forte
Sarà che siamo alla fine della stagione, oppure che stanco lo ero
già di mio, da prima, ma certi momenti mi sembra di essere fuori da
me.

Questo è il primo momento in cui mi fermo a sentire le cose così come sono
La mia è un'emergenza di irresponsabilità per una volta, una sola
Non mi va di pensare alla cosa giusta
Perché forse nemmeno esiste, la cosa giusta, quella da fare a ogni costo
Quella per cui molti trovano la dannazione o la pazzia

Questi giorni sono un paio di occhiali nuovi
Leggo meglio le cose
Ho meno mal di testa

Ho voglia di vita
Non solo di cercare di capire cosa c'è in quella degli altri.


Cose che invece dovrei

dopo lo faccio
dopo chiamo
dopo pago
dopo mangio
dopo dormo

ma il futuro non è un cestino della spazzatura presente così grande da contenerla tutta
spesso trabocca
e come si dice
la felicità è adesso

allora mi guardo le mani
loro che parlano una lingua che solo io capisco
che pare mi stiano guardando a loro volta
e poi mi asciugano gli occhi
loro traducono quelle parole
la felicità è adesso
domattina trasferiscono mia madre in clinica
la riabilitazione dove dicevo io
ho vinto e la dottoressa mi ha detto che sono riuscito a fare una cosa importante

domattina presto, prima di andare il clinica
andrò a nuotare, il primo giorno dopo quasi due anni

è una specie di tatuaggio
un passaggio
e se alzo gli occhi anche le nuvole lo confermano
almeno così dicono le mie mani
che sanno quello che le nuvole significano.



Cose di appena morta mia madre

La gonna nera, vivace di piccoli fiori rossi, una blusa bianca di pizzo sotto la camiciola nera. Una giacca leggera. Servono maniche lunghe che nascondano le braccia martoriate da mesi di flebo.
Nessuna frivolezza.
Lei mi diceva della paura dei bombardamenti, della fame, di come, appena finita la guerra, aveva perduto il padre. Raccontava spesso della fine prematura della scuola e dell'inizio del lavoro a piazza Vittorio. Aveva dovuto, come era solita dire, "rimboccarsi le maniche" a dieci anni.
Quindi rispetto. E sobrietà.
Il momento peggiore. Scegliere l'ultimo vestito che vedrai addosso a una persona che hai amato lo è come pochi altri nella vita.
Ma ancora non è il momento per questi pensieri, c'è ancora da finire le ultime cose, quelle per cui la forza che resta sembra proprio poca.
Ci saranno ancora piccole beghe burocratiche, ancora volti di sconosciuti che pronunceranno malamente il suo nome da dietro un vetro. Dopo basta, però.
Dopo voglio solo il pensiero che per mesi ho accarezzato la sua mano, quella sensibile e che con quella mi ha detto ancora della paura della guerra e della fame, del dolore della perdita, della fatica del lavoro invece della scuola. E così lo saprò per sempre.
Unica concessione è le due gocce di Chanel, il suo profumo, che domattina le poserò sul collo. Ma non so nemmeno perché.


Del cibo, dell'amore, del dolore e di tutte le cose che ancora.

La mia amica A. è golosa delle cipolline in agrodolce di mia madre, capace di finirne un barattolo a cena, anche perché forse assieme alle cipolle, tanto per dare colore, ci sono costine di sedano e carote, così come mia nonna ha tramandato.
Io riuscirei a mangiarci un filone di pane, fetta dopo fetta, intinta in quell'olio saporito e profumato. Insomma in quei barattoli c'è l'essenza della cucina povera e tradizionale, dell'amore trasposto ai fornelli e della gratitudine. Sì, perché nessuno ha mai fatto mistero con mia madre della passione di A. per le sue cipolline. Così lei ogni volta ne preparava sempre qualche barattolo in più, solo per A. che non conosceva, che non aveva mai incontrato, e che in quel modo cercava di ringraziare per la soddisfazione procurata.
Mia madre se n'é andata da poco tempo, a detta della mia terapeuta ancora troppo poco tempo, e l'altra sera a fine cena è comparso l'ultimo barattolo di cipolle.
Tra me e A. non c'è nemmeno stato bisogno di guardarci anche perché i nostri occhi si sono riempiti subito di lacrime, e i suoi più dei miei.
Non avrei avuto bisogno di un episodio come questo per dirmi quanto affetto io provi per A., ma il momento mi sembra lo richieda così come mi obbliga a riflessioni più o meno profonde sulle relazioni tra nutrirsi e amare, su quante e quali cose riescano a passare attraverso il semplice gesto di cucinare, per qualcuno più che per se stessi, su cosa significhi tradurre in terapia occuparsi di alimentazione, su quanto forte sia il segnale che passa per olfatto e gusto.
Su quanto ci stiano allontanando più che dal buon cibo, dal giusto amore.

E su quanto sia forte, ancora, il dolore.


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maya hirasawa : : because of you

9 febbraio 2012

viaggio in sicilia


Fiumicino è un'esperienza mistica, arrivare con necessario anticipo e imbarcarsi con la hostess che ti dice "stavamo per cancellarla dalla lista", solo perchè le norme antiterrorismo richiedono tempi lunghissimi.
Aperitivo a Taormina, cena di pesce a Giardini Naxos. Frank Sinatra a far da sfondo sonoro. Il tempo si è fermato.
L'Alcamo bianco non picchia, è sornione.
La stanza è grande, anche il letto, la doccia è un piacere farla senza dover stare attento a non schizzare troppo.
Ho affrontato il pomeriggio armato di nuovo taglio di capelli, camicia crema, pantalone blu e giacca di velluto, inserito appieno nell'immaginario collettivo Camilleriano. L'occhiale da sole vintage che la signora dice che sembro tanto un attore americano, termina l'opera.
Gli arancini sono quanto di più prossimo al paradiso si possa immaginare, dappertutto limoni e agrumi. Giro la testa da un lato e c'è una chiesa del trecento, guardo dritto e il mare è appena increspato, mi giro dall'altro lato e vedo l'etna coperto di neve.

L'occhio spazia un po', mancava.
L'anima viaggia, chissà se torna.
Intanto vado a dormire e spengo la luce, tanto se torna bussa.


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the barr brothers : : give the devil back his heart

15 gennaio 2012

lemniscale


Desiderio.
Keyword.
Parole e chiavi, ci devono essere delle porte, quindi.
A me di stare chiuso poco mi va.
O meglio, ci dev'essere il caminetto e le castagne e il vino.
Desideri.



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