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3 agosto 2011

sabbia&coca-cola 2011, la macchia sul muro


C'è una macchia sul muro, nera, tonda, che sembra un buco. Lo stesso che sento nel cuore, nero, tondo. Ho superato la quarantina, un buon lavoro, una famiglia, mi si potrebbe definire un uomo realizzato ma, ché in questi casi ci sta bene un "ma", c'è qualcosa che devo nascondere. Come dice Shakespeare, dietro ogni grande patrimonio c'è un grande delitto. Ho rubato, certo tanti rubano, ho tradito, e anche questa è cosa diffusa, ho mentito e imbrogliato. Fin qui niente di nuovo, e qualcuno potrebbe accomunarmi a buona parte del paese, quella che decide, legifera, informa. Quella che conta, insomma.
C'è però una differenza sostanziale. Io mi sento in colpa. E soffro per ciò che ho fatto.
Mi sento talmente male che da qualche tempo vado da una terapeuta, una di quelle che non hanno bisogno di lettino e diplomi appesi al muro per farti sapere che sono bravi, no. Lei è una persona che già quando ti accoglie e ti stringe la mano lo capisci che è quella giusta. Sarà la pelle, l'odore o i colori pastello che indossa, non so.
Non le ho confessato i miei crimini e, tanto meno, messa a parte della paura di qualcuno che possa vendicarsi. Parlo di me, della mia famiglia, del mio lavoro. Per aiutarmi a capire, dice, “dovresti provare a guardarti da fuori, hai presente quando suona il campanello e guardi chi è dall'occhiolino magico sulla porta? Oppure come se fossi in un'altra stanza a spiarti attraverso un buco nel muro.”
Penso che ha ragione, che appena tornato a casa  dovrei provare e vedere cosa succede. Potrebbe davvero aiutarmi a capire e magari potrei pure stare meglio.
Così mi alzo e vado verso la macchia. E faccio finta che sia un buco.
Mi vedo, sul serio, mi vedo seduto alla scrivania, col portatile di fronte a picchiare sui tasti rapido come se stessi scrivendo le mie memorie o il testamento. Scrivo febbrile, urgente. 
Sento una frenata fuori. Passi pesanti per le scale. L'io che scrive si alza, va alla porta e guarda fuori dallo spioncino. Lo sparo non lo sento, hanno usato il silenziatore, mi vedo catapultato indietro e cadere, un occhio sgranato e l'altro che non c'è più. Portato via da una pallottola a punta cava assieme a una certa quantità di materia cerebrale. Quella che conteneva idee malsane e sensi di colpa probabilmente, perché adesso mi sento meglio. Più leggero, quasi libero. Rimane solo questa strana sensazione di cadere all'indietro e guardare il muro con l'occhio che mi resta. Non c'è più la macchia. Un buco nero e tondo al suo posto e un filo di fumo che esce. Poi più nulla.


on air/

wax stag : : folk rock

1 agosto 2011

sabbia&coca-cola 2011, scoperta


una cuffia dell'iPod mi scivola via dall'orecchio e la voce del bambino che è la prima volta che prende un treno mi buca
l'aria attorno è densa di pensieri domenicali, da che mondo è mondo il terrore del lunedì attanaglia solo chi è uso al lavoro.
le mie paure invece si sciolgono negli occhi azzurri di una piccola passeggera, mi guarda mentre scrivo e sembra intuire, ché i bambini spesso lo fanno
mi sorride, si riacciambella sul suo pelouche e guarda fuori passare veloci case, campi, pali della luce, montagne, piccoli paesi.

infilarmi di nascosto nei sogni della sorella maggiore, profondamente addormentata, per un momento mi pare l'unica via di fuga.

l'irrequietezza delle cime degli alberi avverte che si è alzato un gran vento, mentre una luce ghiacciata filtra tra le nuvole
sfuma contorni di cose lontane, confonde limiti, dilania dettagli.
Alzo gli occhi e c'è solo il bianco del cielo, il blu invece è ancora tutto lì
dentro di me.


on air/

pretty lights vs nirvana vs radiohead

26 luglio 2011

sabbia&coca-cola 2011, cose che il vento non scuote


odore di pietre
o la durezza di aria così trasparente
che se la respiri è più facile capire
il colore dell'ultimo attimo prima dell'ultima onda
sulla spiaggia che resta
l'incanto di un indugio
che la brezza porta via

io, lì 

un tronco che la mareggiata ha lasciato sulla sabbia. E biancheggiare.

21 luglio 2011

sabbia&coca-cola 2011, (di)versi(e)perpendicolari


l'eco del silenzio tra gli orti
risuona d'abbandono
lascia spazio alla menta
al finocchio, 
selvatici.

illuminano l'aria certi profumi
vibrano, 
seconde voci alla campana.
oggi non rintocca per una vecchia contadina
che se n'è andata
ma per tutta questa civiltà

morta, ormai.


on air/

anna rose : : my body is a cage

16 luglio 2011

sabbia&coca-cola 2011, a prequel

Nella mia città venti chilometri a quaranta all'ora non vuol dire necessariamente un viaggio di trenta minuti.

Alle due del pomeriggio il sole picchia forte di fine giugno, è quasi la festa di San Giovanni, la festa di Roma, quella vera, quella più antica. Non più sentita, sconosciuta alle nuove generazioni eppure prepotente come il solstizio d'estate.
Alle due del pomeriggio la mia pelle brucia e non posso togliere le mani dal gas o dal freno, la tangenziale richiede attenzione se viaggi su due ruote, le auto poco sopportano chi di solito le supera svicolando nel traffico. Poco sopportano tutto, gli automobilisti romani, ormai, e il caldo non aiuta.
Fermo al semaforo, accostato a un furgoncino che va' col volume alto il giusto, riesco a sentire i proclami di guerra radiofonici di Marione, il ministro Castelli ha appena dichiarato che qui siamo culturalmente arretrati.
Rido, appena un secondo, è scattato il verde e già dietro suonano spazientiti per il tempo di reazione non da centometrista del furgoncino. Lui li sfiora con lo sguardo dallo specchietto retrovisore, riparte sbuffando fumo nero, come fosse una seppia.
La signorina esce dallo svincolo senza freccia nè la minima preoccupazione per il mondo attorno, nella sua Smart parla al cellulare e ride, cazzo vorrà il mondo?
Guardo negli specchietti alla ricerca dell'evoluzione del soggetto, signorina più cresciuta, in carriera, mercedes classe A, iPhone, ma stile di guida e domanda esistenziale che restano immutati. Solo un minuto e me ne passano pericolosamente accanto almeno due. Il punto non è quanto vicine passino le auto, il punto è il tempo, una questione di timing, se l'auto ti sfiora mentre stai per incrociare una delle tante buche il problema è di una certa rilevanza. Leggere la strada, leggere il traffico, leggere il tipo di auto e relativa categoria di guidatore, mettersi nei panni dell'automobilista, ragionare come lui. Eppure, nonostante ogni precauzione, ogni attenzione, c'è sempre l'incognita con cui fare i conti. La strade a Roma sono elementi complessi, non lineari, piene di variabili.
Conoscere il tessuto sociale e le abitudini dei nuovi cittadini aiuta. Se un manovale rumeno alle sette del mattino fa colazione con una birra da 66 cl, come potrà guidare il camioncino alle quattordici? Spazio, dare spazio, calcolare metri, velocità, irregolarità del manto stradale, vivacità dello sguardo del guidatore che si accinge a superarti, o di quello che stai per sorpassare.
Poi d'estate la città si anima di lavori, i più svariati e fuori luogo, dalla creazione della nuova stazione Tiburtina agli upgrade del gas fatti il giorno dopo la riasfaltatura della strada. Così all'ennesimo restringimento a una sola corsia siamo tutti intrappolati nel caldo, sotto il sole, sopra una strada nera e bollente. Dal SUV nero davanti a me, sbuca un braccio tatuato all'inverosimile, con una schicchera il mozzicone della sigaretta vola via, verso il mio parabrezza. Bestemmio, do' gas, lo accosto e lo guardo negli occhi poi faccio il gesto di schiccherare un inesistente mozzicone verso il suo finestrino aperto. Capisce e si scusa, resto basito. Ecco la variabile impazzita. Il sospiro mi si strozza nella gola, una follia respirare quest'aria così calda. 
Arrivato a casa scendo dallo scooter, sono tutto un dolore, mi stiro poi faccio due passi verso la fontanella, devo darmi una sciacquata. L'acqua è così fresca, buona. E poi è ancora pubblica. 

3 marzo 2011

dalla finestra, teste di radio







Mi affaccio alla finestra, come ogni giorno, e getto il mio primo sguardo sul mondo. Ancora carico di aspettative e fiducia, la notte, evidentemente, ha portato riposo, non consigli.
La signorina con la sua nuova cinquecento scende veloce dall'auto e sculettando s'allontana poi si gira, distende il braccio armato di chiave a infrarossi e spara precisa la sua chiusura centralizzata. Ha occupato due posti, in un quartiere dove per un parcheggio le persone spesso vengono alle mani. Me la immagino cresciuta con la mamma che a pranzo le dice "perché non mangi lo stracchino? guarda che ci sono bambini in africa che non hanno nemmeno il pane"
Lei lo stracchino non l'ha mai mangiato, non è diventata obesa per compensare il senso di colpa nei confronti di altri bambini sconosciuti del terzo mondo, è comunque una stronza venuta su proprio bene.
Mi affaccio alla finestra, come ogni giorno e respiro un po' di quel veleno fuori. La cura giusta, omeopaticamente parlando.
I piccioni provano a circondare un gabbiano intento a sbocconcellare una cornacchia riversa sul marciapiede, a pancia in su già da ieri sera. Più grande e cattivo li tiene a distanza, malgrado il numero, malgrado la città, anche senza il mare.
Come ogni giorno sorrido. In attesa della signora del piano di sopra che batte il tappeto. Polvere sui miei pensieri, affacciato alla finestra.

26 gennaio 2011

traindog (a luciano bianciardi, letto in treno)

L'inizio del viaggio non è mai il momento migliore
il freddo ancora chi parte rimpicciolisce nel cappotto
e vede i suoi luoghi man mano scomparire
e i campi che scorrono veloci allaga gli occhi
cosa accadrebbe delle nostre anime, se.
figli di gente operosa e quieta
isole sotto il sole
terra che brucia in mezzo al mare.

on air/

robert glasper experiment : : stakes is high (de la soul cover)

21 gennaio 2011

gente che parla da sola sull'autobus

C'è un sacco di gente che parla da sola sull'autobus, la mattina.
E non parlano al telefono con cuffia e microfono. No. Parlano proprio da soli.
Si raccontano cose, così magari quelle cambiano, chissà.
La signora che incontro tutte le mattine sul 545 ripete la parola "bastardo" un numero infinito di volte, con intonazione monocorde, quasi fosse un mantra. Però, se presti attenzione, tra un'invettiva e l'altra ci mette delle parole chiave, adatte per aprire la sua storia: andato via, papà, puttana. Ci ho messo due mesi per capire che il marito è fuggito con la badante filippina di suo padre, al quale la questione deve aver spezzato il cuore che, data l'età, non ha retto. E nemmeno lei, evidentemente, perdere in poco tempo il marito e il padre deve averla fatta impazzire. Così ogni mattina si racconta com'è andata, per cercare magari un evento premonitore evidentemente sfuggitole, un segno inosservato, l'ipotesi che possa essere stata anche un po' colpa sua. Poi, invece no! "bastardo, bastardo, bastardo"
Sulla metro delle otto meno un quarto, il vagone di coda, quello più vicino all'uscita quando ferma alla stazione termini, è di conseguenza il vagone più affollato. Lì dentro ci trovo spesso un ragazzo schiacciato quasi dal peso dello zaino pieno di libri. Lo sento che prega ad alta voce, certe volte implora, altre ringrazia. Dipende dalla giornata, evidentemente.
Ad ogni fermata cambia faccia, diventa serio serio, si guarda riflesso nel vetro del finestrino e parla di tomismo, dell'allegoria della caverna, fenomenologia dello spirito e generi della conoscenza. Quando la metro riparte ricomincia con le sue litanie: venerdì l'altro una signora s'è avvicinata per sentire meglio, lui pareva non se ne fosse accorto, poi all'improvviso s'è girato e ha fatto "bù!"
La signora, dopo un balzo di un generoso paio di metri all'indietro, s'è fatta il segno della croce ed è scesa alla prima fermata utile. Probabile fosse nemmeno la sua.
Sul 905 una volta incontrai un vecchio che durante il tragitto fino al capolinea riuscì ad elencare date, armamenti, battaglie e scaramucce della campagna di Grecia nel '40. Ad un certo punto incespicò appena sul nome di un certo capitano di Verona, così per provare a se stesso che la memoria ancora non lo aveva tradito del tutto, snocciolò di filato tutta la sua compagnia, comandanti e sottufficiali inclusi. Scese salutando militarmente il conducente, che ricambiò il saluto.
Quando torno a casa non vedo l'ora di incrociare sul 409 "la principessa", come la chiamo io. Veste coordinata, sempre. Tailleur, sciarpa, cappellino, scarpe, guanti e borsetta in tinta: rosa antico, verde mare, azzurro carta da zucchero, giallo canarino e chissà quanti altri colori, nell'armadio. Pare proprio una donna d'altri tempi, però parla di politica e attualità. Informatissima, ha il solo difetto di mescolare tra loro notizie e personaggi. Un esempio? La nuova legge sull'università è una cosa sbagliata ed è colpa del grande fratello, la chiama “riforma Marcuzzi”.
Chissà cos'è che ti fa parlare da solo sull'autobus. Forse lo stress o i colpi della vita, magari la roba da mangiare che non è più quella di una volta oppure tutto questo traffico. Certe volte penso che magari, senza saperlo, pure io sono diventato un po' pazzo.

"direi proprio di sì"

disse ad alta voce la ragazza che gli era seduta accanto, alzatasi per scendere alla fermata, riordinando nel mentre lunghi dreadlocks di tutti i colori.

19 gennaio 2011

vedere ancora sogni mentre sputi dentifricio*

I sogni di mattina presto hanno un suono e il merlo che mi canta sotto le finestre deve necessariamente sentirli.
me li interrompe sfumandoli sul più bello tutte le volte.
al pennuto non gli piacciono i miei sogni.
la mattina.
presto.
bastardo.

on air/

the black keys : : girl is on my mind

*signature di certo zakka, amabile scrittore leggibile su scriptaVolant

10 gennaio 2011

spiaggia e puttana, stessa pronuncia

Passeggio lento per una spiaggia lunghissima con su ancora impresse le orme di due persone che qui ci hanno camminato fianco a fianco, chissà quando.
L'adriatico è quasi calmo e nel silenzio posso sentire centinaia di gusci che si scontrano sulla riva. Se mi chino sembra quasi cantino.
Un cane bianco corre velocissimo.
Se c’è un cane c’è anche un padrone, penso. Invece sono due. Sagome scure che posso vedere in lontananza, ancora.
La luna è quasi piena.
E la luce delle otto della sera del Mediterraneo è una luce bianca e fredda.
All’orizzonte c'è una nave, sta lì da parecchi giorni, in attesa dell’ordine di sbarco.
Appena sceso il crepuscolo, ha acceso le luci a bordo e calato un paio di gommoni con alcuni marinai che vanno a farsi un giro al porto. Li vedo già nel bar, mentre spiano da dietro i loro bicchieri la cassiera rumena, forse anonima e slavata ma bellissima ai loro occhi.
Lo sguardo veloce del marito italiano, padrone del bar, è in perfetto equilibrio tra gelosia, senso degli affari e sogno erotico. Riprende a sciacquare stoviglie scuotendo impercettibilmente il capo così come sto facendo anche io. E ricomincio a immaginarmi. Camminare piano al tramonto, dietro orme, sulla spiaggia.






on air/

6 gennaio 2011

times like this

Era vecchio ormai, capelli canuti e radi, arti smagriti, rughe profonde sotto gli occhi.
Non poteva fare a meno degli occhiali per leggere qualsiasi cosa che non fosse un cartellone pubblicitario.
L'unico contrasto alla barba candida era una bocca carnosa e rossa, la incorniciava, come a cingerla d'assedio.
Per questo forse ogni parola pareva sparo o esplosione.

23 dicembre 2010

Er Cicala e il peso delle parole

Che le parole avessero il loro peso, era chiaro a tutti.
Poi, alla cena di fine anno al liceo, un martedì come tutti gli altri, di quelli da spaghetti ricotta e pepe e la coratella coi carciofi per secondo, il vecchio professore parlò. Era un uomo calmo, posato, sempre in ordine, di un'eleganza sobria e profumata di saponetta.
Non si era perso un' assemblea durante l'occupazione, senza mai intervenire ascoltava attento. Ognuno sapeva per certo chi fosse il suo poeta preferito, che amava leggere ascoltando Coltrane, bevendo parchi sorsi di un certo Morellino di non si sa bene quale cantina a Scansano.
Uno tra i più intraprendenti riuscì a trovare il Morellino quella sera, e allora lui parlò.
Con calma, sicuro dell'attenzione della platea. Arrotolando una forchettata di pastasciutta aiutandosi col cucchiaio, cominciò a raccontare dei dieci nervi cranici, del primo in particolare, il più profondo, quello che arrivava diretto alla porzione più antica del cervello, quello che peggio tollera le bugìe.
Il profumo del pepe stuzzicava tutti, spingendo a riflettere su quanto certi modi di dire avessero in effetti un qualche fondamento neurofisiologico ..

"quel tale non me la conta giusta, mi puzza"

ad esempio.

Disse poi di quanto le parole possano ingannare. Perché le parole hanno un peso, fece serio serio versandosi un altro mezzo bicchiere.
Parole capaci di far rivoluzioni, che fanno gli uomini grandi o meschini.
Parole cariche di significato, e parole vuote.
Eccezioni ed eccessi le parole possono contrabbandarli per regola o norma.
Ad esempio basta aggiungere il suffisso -ismo e la parola è alleggerita del suo peso originale. Prendete il caso, disse, della parola “bontà”. Profuma d'incenso e catechismo certo, ma ha un valore. Aggiungi quel suffisso e la svuoterai, si vedrà solo l'apparenza, una forma di esaltazione o ipocrisia. Lo stesso vale per la parola "giustizia", delegittimata con tecnica mafiosa. Utile per bollare una persona pericolosa, cosìcchè nelle orecchie di chi ascolta rimanga solo l’eco dell’-ismo, quel venticello leggero profumato di calunnia: buonisti, giustizialisti.
No, gli uomini e le donne, quando hanno le qualità li dobbiamo chiamare “giusti”. Così come esistono pure i buoni.
Certe parole acquistano significato o cambiano d'importanza seguendo i flussi e gli andamenti sismici della politica o del denaro, ma dentro mantengono integro il loro inganno.
L'imprenditore, ad esempio, contiene al suo interno il concetto di prendere dentro, come un ladro che entra nella tua casa e ti porta via le cose, senza chiedere.
Certe parole invece le dobbiamo proteggere, perché subiscono l'attacco peggiore. Quello delle ri-forme. Si usa questo termine senza sapere che il tessuto che ci lega, ci sostiene e ci tiene assieme è autopoietico, cioè che si costruisce da sé, senza bisogno di riforme o peggio ancora, riformisti.
Così come l'emozione non vuole moderati.
Quell'impulso ad agire in risposta a uno stimolo esterno. Verso l'esterno, in maniera inconscia e senza alcun sentimento.

Come quando involontariamente arrossisci quando ti dico che sei bellissima ma nessuno te lo fa notare e allora non lo saprai mai.

La parola es-pressione invece è proprio quelle troppe cose che ti ribollono dentro quando trovano finalmente una via di uscita.
Operaio, manovale, artigiano hanno tutte a che fare con la parte più nobile e creativa del nostro essere umani, mentre l'insegnante è quello che ti lascia dentro impronte nette e pulite, così come è l'educatore quello che ti porta fuori dalla non conoscenza.
Il politico invece ha il marchio della città sulla pelle, sa di confusione e di rumore.
Se queste parole vengono usate, continuò, devono mantenere il loro peso. Perché senza rimarrebbero involucri freddi, come tombe.
E quando certe parole sono morte, è faticoso poi ricostruirne il vero significato.
Come se perdessimo parte di noi stessi, del mondo attorno. Non riusciremmo più a descrivere qualcosa per come davvero lo vorremmo.
Così come con gli ultimi pezzi di pane ognuno raccolse il sughetto della coratella dai piatti, così ognuno fece con tutto quello che gli correva dentro la testa. Una scarpetta di nuove idee, insomma.
Poi erCicala ancora masticando, colle briciole sulle labbra, sguardo ammirato e grato per tutti quegli insegnamenti, chiese infine:
"mi scusi professore, ma una cosa ancora non mi è chiara .. ma al "prestatore d'opera" qualcuno poi gliela ridà?"

31 agosto 2010

sabbia&coca-cola 2010, io cammino





attraverso il miele di un bicchiere di vinsanto guardo le onde, la sera
con l'anima in bilico come il pescatore in piedi su quello scoglio
e all'occorrenza saper tornare col cuore all'entroterra.

27 agosto 2010

sabbia&coca-cola 2010, insetti la notte

il moscone non preannunciava visite imminenti, vista l'ora di notte, ma era lo stesso assai fastidioso. un ronzìo cieco nel buio della sua camera da letto. già per due volte era stata costretta ad alzarsi, accendere l'abat-jour, aprire le finestre dopo aver scostato la tenda affinchè se ne uscisse da solo, senza costringerla ad adottare misure drastiche. inutilmente. il terzo tentativo fu il più fruttuoso ma per via della luce accesa, uscito il moscone era entrata una farfalla notturna dalle dimensioni ragguardevoli.
sembrava impazzita, girava attorno al lampadario sbattendo ora contro il soffitto ora sulla lampadina. se possibile quella farfalla faceva anche più rumore del moscone.
lei perse la testa, prese nella cesta dei panni da lavare una maglia, attese paziente che la farfalla si posasse sulla parete candida e, noncurante di eventuali macchie sul muro la fulminò con un lancio preciso. poggiata la testa sul cuscino i pensieri presero il sopravvento sul sonno, aveva lasciato libero un moscone, che per inciso le faceva anche alquanto ribrezzo e poi, a causa di quel riguardo nei confronti dell'incolumità dell'insetto, aveva cinicamente ucciso una farfalla.

a cosa servivano le farfalle?
pensò
si ricordò di qualcosa che aveva sentito da chissà chi a proposito del battito della ali della farfalla di New York che poteva pure cambiare il clima a Tokio.
si alzò pensierosa, scostò di nuovo la tenda e guardò fuori.
vide splendere una luna che più piena di così non l'aveva mai vista.
accanto, nel cielo nero, brillavano stelle come pezzi di vetro al sole.
se quella farfalla avesse continuato a sbattere le ali avrebbe di sicuro nascosto quella luna e quelle stelle con nuvole fatidiose come mosconi, in un posto lontano da lì. chissà dove.
sorrise, si distese nel letto, tirò fuori le braccia dalle lenzuola e finalmente si addormentò.

29 luglio 2010

sabbia&coca-cola 2010, castelguidone reprise

è un piccolo mondo,
questo
chiuso da grandi spazi dove almeno lo sguardo
quello sì,
può fuggire via lontano
scarico e senza fiato mi fermo a respirare
l'aria elettrica di un temporale in arrivo.

28 luglio 2010

sabbia&coca-cola 2010

Era consuetudine che le donne, per evitare si divaricassero i piedi a causa di una naturale propensione post-mortem delle anche alla rotazione esterna, legassero fra loro le scarpe della salma. Un ultimo ossequio alla forma.
Per converso e per tradizione il saluto definitivo veniva dato dagli uomini, valicata l'uscita l'ultima gonna, l'amico più caro scioglieva i piedi del defunto, affinchè libero potesse camminare nell'aldilà. Un ultimo riguardo alla sostanza.


25 luglio 2010

(sabbia&coca-cola 2010) narciso e chardonnay 3


Adelina gli piacciono un sacco le feste al paese, c'è tanta gente che viene da fuori, tutti ben vestiti, profumati e sorridenti, s'incontrano all'entrata della chiesa prima della messa. Gli altri giorni, puzzolenti e straccioni, s'ammazzerebbero per un sacco di grano. Sarà che certi paesini vivono da sempre isolati dalla civiltà che le persone non sono proprio capaci di vivere assieme nella concordia, oppure perché il prete non ci riesce a spiegare bene il concetto quando predica, fatto è che le feste spezzano un po' l'atmosfera pesante della vita in paese, una specie di tregua dove si ritrova il piacere di ritrovarsi e anche se dura poco Adelina ogni volta non vede l'ora.

E poi c'è il messaggio simbolico che la vita del santo festeggiato porta con sé.

Oggi è la festa di Sant'Ortano, c'è la processione e dopo i poeti in piazza faranno a gara a chi racconta meglio in rima la sua storia, la storia di San Domenico, del lupo e del bambino.
Adelina gli piacciono un sacco le feste al paese, c'è tanta gente che viene da fuori, tutti ben vestiti, profumati e sorridenti, s'incontrano all'entrata della chiesa prima della messa. Gli altri giorni, puzzolenti e straccioni, s'ammazzerebbero per un sacco di grano. Sarà che certi paesini vivono da sempre isolati dalla civiltà che le persone non sono proprio capaci di vivere assieme nella concordia, oppure perché il prete non ci riesce a spiegare bene il concetto quando predica, fatto è che le feste spezzano un po' l'atmosfera pesante della vita in paese, una specie di tregua dove si ritrova il piacere di ritrovarsi e anche se dura poco Adelina ogni volta non vede l'ora.

E poi c'è il messaggio simbolico che la vita del santo festeggiato porta con sé.
Oggi è la festa di Sant'Ortano, c'è la processione e dopo i poeti in piazza faranno a gara a chi racconta meglio in rima la sua storia, la storia di Sant'Ortano, del lupo e del bambino.



24 luglio 2010

(sabbia&coca-cola 2010) narciso e chardonnay 2

La donna si siede spesso al tavolo in fondo a leggere ogni volta un libro diverso, anche i vestiti cambiano ma non i suoi modi, in tono coi colori che ama indossare. 
Il venditore di rose rosse lo sa, lei è cortese ma ferma, di quella determinazione gentile che non ti ferisce tenendoti comunque a distanza, quando lui entra lei gli apre un gran sorriso appena lo vede. Lui ormai sa che quel gesto non sarà mai il preludio dell'acquisto di un fiore, quindi ricambia e cerca subito altri clienti.
Lei poggia di nuovo lo sguardo sulla pagina, scansa una ciocca di capelli dal viso e le labbra si richiudono sui pensieri e le immagini che i libri belli spesso ti portano fin sulla bocca.
Il barista la vede già da qualche mese, gli piace, facile capirlo, così come piace a tutti coloro che hanno un debole per certe figure eleganti e non appariscenti, ma non sa nulla di lei più di quanto già sappiate voi.

23 luglio 2010

(sabbia&coca-cola 2010) narciso e chardonnay 1/?


Non sopporto gli odoriNon sopporto gli odori


Non sopporto gli odori
li trovo irrispettosi perché ti entrano nel cervello profondo, quello rettiliano, senza chiedere permesso, evitando l'adeguato filtro della corteccia.
E non sopporto nemmeno l'amore, così irrazionale, fuori controllo al punto da portare certe persone alla propria morte o all'omicidio passionale, appunto.

Non sopporto gli odori
figuriamoci quelle puzze che all'inizio ti sembrano profumi, quando sei innamorato.
Inoltre non mi piace ballare,
non che non sia coordinato o che non abbia senso ritmico
è che mi infastidisce quel contorno di abiti svolazzanti, ammiccamenti, carezze mistificate, approcci fisici e movenze apertamente sensuali giustificate e ammesse solo perché eseguite a ritmo.
E poi i profumi
assordanti talvolta anche più che la musica.
C'è però un'eccezione
ed è l'odore che si sparge nell'aria dopo lo sparo
un odore pungente modulato dal suo rilascio graduale dovuto all'uso obbligato del silenziatore.
Un obbligo cui tengo fede volentieri nel mio lavoro, anche per questa piccola frivolezza che mi concedo dell'annusare l'aria mentre guardo morire il mio contratto.
E anche un bicchiere di vino bianco e fresco, appena dopo.
Mi aiutano a sopportare meglio l'idea della morte, perché anche un killer può avere emozioni, sapete?
Ma che non lo si dica in giro
ne andrebbe della mia credibilità
quindi della mia vita e a quella ci tengo io.

La volta che una delle mie prime vittime ci mise quasi un minuto a morire restai lì a guardare senza capire come certe persone possano restare avvinghiate alla vita in maniera tanto ottusa.
Eppure mi aveva visto arrivare, anche se non più in tempo utile per poter fuggire, aveva sgranato gli occhi mentre distendevo plasticamente verso il suo petto il mio braccio, con annesso revolver.
Sembrò se possibile ancor più terrorizzato dal silenziatore, come se la cosa peggiore per lui fosse il fatto che nessuno avrebbe sentito nulla.
Morire in silenzio e senza clamore, dopo una vita chiassosa, esagerata, era la sua nemesi, il giusto contrappasso. Eppure ..
Eppure aveva sentito il tonfo, poi il colpo nel petto, un lampo di dolore pazzo e la consapevolezza che tutto stava finendo lì e in quel momento, eppure.
Eppure stava lì, rantolante per un tempo infinito ai miei occhi, senza arrendersi e nemmeno implorando aiuto o pietà.
Esclusivamente concentrato a non lasciare andar via quel soffio primordiale, senza desiderare un'ambulanza né il colpo di grazia.
Mi dissi dentro "cazzo muori!"
non posso usare un'altra pallottola, non sarebbe la mia firma
un'ambulanza non arriverebbe mai in tempo e anche se fosse non esisterebbe chirurgo capace di vanificare il mio lavoro
quindi
"muori, cazzo!"
lasciati andare
arrenditi come di sicuro ti capitava da bambino quando facevi per gioco la lotta con tuo padre o con tuo fratello maggiore che poi mamma diceva ridendo che ci si sapevano mettere contro uno più piccolo
così arrenditi ora e sorridi
lascia fare adesso
manda uno sguardo di gratitudine al cielo per la vita concessa
e lasciati morire sereno.
Invece no, e non mi riusciva di capire il perché.
Poi annusai l'aria, l'odore dello sparo mi riportò in me, lui finalmente sbarrò gli occhi non appena smise di respirare. Poco dopo ero seduto al bancone di un bar elegante a sorseggiare calmo e soddisfatto un bicchiere di Chardonnay. Pensai che quel che provavo doveva esser messo in riga, ordinato e allineato grazie a, per esempio, un rituale. Mi ci voleva un cazzo di rituale, sì

Un colpo solo.

Sondare l'aria alla ricerca dell'unico odore che non mi infastidisse nella vita,
guardare la fine senza farmi domande, 
poi un bicchiere di vino, sempre lo stesso, bianco, fresco.         (continua ..)


li trovo irrispettosi perché ti entrano nel cervello profondo, quello rettiliano, senza chiedere permesso, evitando l'adeguato filtro della corteccia.

E non sopporto nemmeno l'amore, così irrazionale, fuori controllo al punto da portare certe persone alla propria morte o all'omicidio passionale, appunto.

12 gennaio 2010

nuda proprietà /fine

vorrebbe dirle tutto.
vorrebbe dirle che è un assassino, che uccide per denaro e che è bravo nel suo lavoro. che nessuno mai ha avuto a lamentarsi, non un sospetto, non un'indagine su un anziano morto "casualmente".

vorrebbe dirle che anche lei avrebbe dovuto morire accidentalmente, ma che adesso, aggrappata com'è a lui, con la lingua a rimestargli le parole nella bocca assieme ai baci, la pancia morbida che preme contro il suo sesso ormai in procinto di fargli esplodere i pantaloni, sicuramente vivrà. vorrebbe dirle di non aver paura, che una donna come lei non l'ha mai incontrata nella vita, che sente finalmente che il tempo di cambiare è arrivato, che ha da parte abbastanza soldi, che.

vorrebbe dirle ma non riesce, non può, non può più.

prova a staccarsi dalla morsa di quei baci così lunghi e profondi, troppo.

prova a staccarsi ma un pezzo del suo corpo è come se oramai lo governasse lei, così come la sua voce.
lei non vuole che lui parli, lei non vuole che lui si muova.

Gloria è una donna esperta ma non sa riconoscere l'abbandono che la passione regala alle membra dai sintomi di un meningioma mai diagnosticato che comincia a sanguinare.

non sospetta nemmeno che i suoi baci, il suo corpo, le sue carezze possano innalzare la pressione sanguigna a tal punto.

 

§

 

Alcuni mesi dopo per Gloria non è più tempo di pensare ai cognati o ai nipoti, nè alle piccole cose che prima riempivano le sue giornate. alcuni mesi dopo si tratta solo di stare accanto a quell'uomo che pian piano ricomincia a muoversi, che sta re-imparando a lavarsi e vestirsi da solo e che ha ancora bisogno di aiuto, che però non potrà più parlare, forse.

il suo tempo adesso vuole solo attenzione per quell'uomo davanti a lei, l'uomo che ama e del quale non sa niente,

quell'uomo davanti a lei

in piedi 

nudo,