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16 settembre 2014

la vita è un ospedale (da un incipit del lonfo)

La vita a volte è strana, tanto quanto gli esseri che la animano. 
Mettete un ospedale, per esempio, dove c'è la signora Egle che di continuo suona il campanello per chiamare l'infermiera di turno.
Vuole assolutamente essere spostata di letto perché il riscaldamento, dice, è troppo vicino e le secca la gola e così deve bere di continuo ma la cosa ovviamente la costringe ad alzarsi di frequente per andare a far la pipì e le ginocchia le dolgono tanto, ma tanto, così tanto che ogni volta rischia di cadere.
Magari starebbe meglio accanto alla finestra, potrebbe così guardare fuori e distrarsi un po' e di sicuro penserebbe meno alle giunture dolenti.

Non si potrebbe

replica tranquilla l'infermiera,

ma chiederò alla caposala...


Non ci penso proprio, io da vicino alla finestra non mi muovo!

Immediata la reazione della giovane occhialuta con una pila di libri sul comodino, cuffiette nelle orecchie e nessuno che la venga a trovare il pomeriggio durante l'orario di visita.

Non per cattiveria

insiste

ma proprio per una questione di clorofilla

La signora Egle sbuffa, il volto dell'infermiera diventa simile a un punto interrogativo.

Se non prendo abbastanza luce non ne produco a sufficienza e allora mi si torce la colecisti, s'indignano le surrenali, il duodeno non sopporta il digiuno e l'amigdala ha paura dell'ippocampo...

L'autorevolezza degli argomenti, sostenuti dal peso di tutti quei libri sul comodino, zittiscono la signora Egle, mentre una strizzatina d'occhio furtiva all'infermiera mette subito le cose a posto.
O almeno per un po'.

on air/
francesca vannucci : : all i need (radiohead cover)

3 gennaio 2013

gnu year risin'

Le due del mattino del primo gennaio. L'uomo dalla Punto gialla si pone in finestra. Sapete quelle cose del tipo "sguardo sul mondo con espressione meditabonda sull'anno appena passato e vagamente speranzosa rispetto a quello che verrà"; non appena tornato al qui e adesso, vede un tale, barcollante, evidentemente ubriaco. Appoggiatosi con una mano a un auto, con l'altra, dopo aver ravanato il giusto, estrae l'arnese e mette una seria ipoteca su quella che può essere la pisciata su paraurti più lunga del secolo. Per un attimo l'uomo della Punto gialla pensa anche di far partire un applauso, un fischio, un qualsiasi segno di apprezzamento del gesto. Poi realizza che lui la Punto gialla non ce l'ha più da un pezzo...e che quella è proprio la sua Polo.

on air/

public enemy : : harder than you think (featurecast rmx)

7 ottobre 2012

captivus





Troppi vestiti invernali dentro l'armadio occhieggiano, mi guardano come avessi proprio bisogno di coprirmi
magari è solo che non ce la fanno più a stare chiusi lì dentro, al buio, assieme a vecchi jeans strappati, magliette lise e maglioni ormai sformati 
è che non ce la faccio a buttare via le cose che per tanto tempo mi hanno accompagnato 
non ce la faccio a liberarmi di certe parti di me 
forse dovrei, ma la storia mica dovrebbe finire così, nel secchio della spazzatura 
tanto comunque i conti continuerei comunque a farceli 
la tua storia va oltre lo spazio nell'armadio che non basta mai 
e anche se decidi di mettere ordine, il caos che ormai regola il mondo avrà sempre la meglio 
paradossale vero? 
più tempo spendiamo a sistemare le cose 
più le cose precipitano, disordinatamente 
più è pulito e a posto in casa 
più tutto è a ferro e fuoco, fuori 
sarà il caso di uscire e fare un giro? 
o restare in casa, ripensare alle storie 
provare a tirare fuori un ricordo, una parola, un volto dalla memoria 
magari un insegnamento 
e andare avanti 
cercando di non far caso al troppo nell'armadio 
o al limite, coprirsi 
ché il freddo arriva presto.


on air/

arms : : tiger tamer

9 settembre 2012

sabbia&coca-cola 2012, finisterrae


"La fine del mondo dipende solo da dove tutto è cominciato."


Seduto in riva al mare un vecchio guardava lontano. Una sciarpa attorno al collo e un milione di ricordi a stringere il cuore. Era come se le onde lenissero con ritmo regolare un dolore profondo. Il vecchio ci dondolava assieme, come cullato da mano tanto compassionevole quanto invisibile.
Rilassati pian piano i muscoli, la sua testa sembrò sgusciare fuori dalle spalle e gli occhi si posarono ancora un po' più lontano, oltre l'orizzonte. Le poche nuvole si dissolsero sotto il suo sguardo e tutto si confuse, scambiandosi di posto i colori del cielo e del mare. Un'onda più lunga delle altre lo riportò sulla spiaggia, col pensiero e con lo sguardo. Si alzò.
Camminò ancora, con uno scopo. Ancora.
Vagare alla ricerca della conchiglia perfetta, per sentirci il mare perfetto. Un sorriso perfetto si fece spazio tra le rughe. Una scintilla di sole riflessa negli occhi. 
A chi la vide sembrò proprio il lampo perfetto. Abbagliò il mare, se possibile. 
Di sette quello perfetto.


Il settimo mare fu rivelatore, di fronte al mio ombrellone giocavano altri bambini occupati a costruire castelli di sabbia. Io pensavo a quanto presto sarebbero caduti, già apprezzavo le macerie. Quel che resta di un crollo.
Frammenti, evidentemente, ma i più resistenti. I miei castelli sarebbero rimasti in piedi: poca sabbia e il ricordo della catastrofe in ogni atomo.

Il sesto mare è stato il più azzurro anche se il mondo era ormai a ferro e fuoco. La fattoria dei miei genitori era andata alla banca dopo il fallimento. Abbandonata, gli animali venduti a qualche macellaio, i campi incolti, la vigna distrutta. Rimaneva il grande albero di fronte il patio. Da lì sopra riuscivo a vederlo il mare.
Mi avvicinai, non so se con l'intenzione di arrampicarmici ancora una volta. Si accorsero di me le tante gazze che ormai lo abitavano, fuggirono con gran fracasso.
Il presente è così veloce che è meno fatica accostare il passato, ma lì non ci trovi granché di buono per il futuro.

Il quinto mare imparai a nuotare, uscito dall'acqua mi sdraiavo al sole e chiudevo gli occhi. La brezza mi portava l'odore di viaggi, mi bastava stare lì e ascoltare le voci lontane. Parole confuse, slegate, ricomposte solo dal profumo delle onde.

Il quarto mare, quello di mezzo, scosse l'anima mia. Rammento Amina, nera nera, del Senegal. Intrecciava i capelli con perline colorate alle bambine, sulla spiaggia. La guardavo mentre ogni tanto poggiava una mano sulle reni, per darsi un po' di sollievo. Guadagnava bene, Amina, e forse la parrucchiera del paese se ne lamentò con qualche balordo del posto. La tirarono su dall'acqua i pescatori che albeggiava appena.

Del terzo mare ricordo solo il sale. L'aurora era un urlo ai miei occhi. Passavo il mio tempo alla ricerca di qualcosa che facesse passare più velocemente il tempo che restava alla sera. Certe volte il tempo della ricerca è già trovare quel che serve anche se per guardare meglio si deve rivolgere le spalle al sole.

Il secondo mare me lo dissero profondo ma ero in là con gli anni e il mio tempo era un'ombra che si nascondeva tra mille altre.
Comunque mi tuffai.
Il primo respiro tornato in superficie fu buio e sgomento. E stupore.
Per quel mare ero solo l'ennesima anima persa in tanta grandezza, così nuotai veloce e con la testa fuori dall'acqua, così da poter respirare la luce. 
Strisciai sulla battigia, poi andai carponi.
Infine mi rialzai.

Il primo mare sto seduto sulla riva. E guardarlo.



on air/


5 maggio 2012

era di maggio






Un'altra tastiera, magari bianca e intonsa come questo foglio, potrebbe aiutare.
O un altro rumore
qualsiasi cosa che non sia il treno che ho nella testa
quella cosa che sembra stia sempre lì lì per deragliare
e che poi corre dritta per la sua strada.
Incrocia a tempo sincopato la mia che zigzaga, invece.
Il dolore al tallone non mi fa più eroe, Troie ce n'è in abbondanza
e di cavalli nemmeno l'ombra
i re hanno corone invisibili che portano con eleganza
e non ci sono bambini a dir loro che sono nudi.
Per la disperazione c'è sempre il tempo, sembra dire l'orologio della stazione
gocce di pioggia ormai asciutte sono righe perpendicolari a un dolore comune
binari e fetore, tic tac e attese inutili.
Le parole futili che trovi a fatica
si perdono tra quelle scritte sui muri
o che rimbalzano sussurrate negli angoli
al buio.
Gocce orizzontali
le parole che non trovi.
Non c'è ombrello che le fermi.
O una tastiera, bianca.


on air/

13 dicembre 2011

hyperfog


Ad annusare respiri, sospiri, si sanno cose delle persone
non solo se hanno mangiato aglio
per esempio se i piedi puntano verso lo spazio più aperto che c'è.

La nebbia è la pagina del libro che devi rileggere, perché qualcuno ti ha distratto in qualche modo, o forse solo perché eri stanco. Devi tornarci per andare avanti, per evitare di sbattere contro il muro che non vedi ma sai che c'è. Mi piace la nebbia, la pioggia, l'alta montagna ma anche la spiaggia lunga, le onde che sbattono forti e i laghi scuri. In piscina da piccolo piangevo, le urla dell'istruttore e l'odore del cloro mi stringevano la gola. Non ha carattere suo figlio, signora così dissero a mia madre. Lei gli credette e dopo un po' anche io. Poi uno zio con gli occhi celesti come una caramella mi regalò un manualetto americano primi '70, nuotare è facile come camminare campeggiava a grandi lettere il titolo. Ogni sera ne leggevo un po', era la mia bibbia. Un giorno d'estate in vacanza sul lago, decisi di fare il bagno da solo, e pian piano imparai guardando quelli più bravi di me. Ora nuoto per almeno un chilometro, ogni giorno.
La nebbia?
Sempre acqua.


on air/

the roots : : sunday bloody sunday/pride (U2 cover)

steffaloo : : let it die (feist cover)

8 dicembre 2011

undun




I muri sono le pagine bianche della nostra vita, sta a noi riempirle 

pensano larghi nei loro abiti XXL giovani writers col cappello da baseball messo al contrario
bomboletta sempre a portata di mano
quella scritta comparve sui muri appena ripuliti di un liceo, dopo il putsch di un preside oltremodo autoritario, in risposta
il muro andrebbe costruito da firenze in giù, è la convinzione di buona parte della popolazione di questo paese che vive nelle pianure fredde e umide del nord
il muro, adeguatamente usato, può essere utile in quei casi di lombo-sciatalgia dovuti al protrarsi di posture lavorative poco ergonomiche o comune malumore causato da un'attività sessuale scialba, sciatta, poco partecipata
ovvio che in questo caso diventi d'importanza capitale non il muro, quanto chi.
Al muro mi ci sento spesso messo con le spalle, e non è carino
no
allora, per reazione, ci sbatto la testa.
I muri hanno orecchi
certe volte sono maestri
altre volte c'è chi ci parla
i muri cadono, i muri crescono
al muro c'hanno messo un sacco di gente
anche per questo guardo con simpatia a giovani writers.
Anche per questo è giusto scriverci sopra.

on air/

the roots : : make my

3 marzo 2011

dalla finestra, teste di radio







Mi affaccio alla finestra, come ogni giorno, e getto il mio primo sguardo sul mondo. Ancora carico di aspettative e fiducia, la notte, evidentemente, ha portato riposo, non consigli.
La signorina con la sua nuova cinquecento scende veloce dall'auto e sculettando s'allontana poi si gira, distende il braccio armato di chiave a infrarossi e spara precisa la sua chiusura centralizzata. Ha occupato due posti, in un quartiere dove per un parcheggio le persone spesso vengono alle mani. Me la immagino cresciuta con la mamma che a pranzo le dice "perché non mangi lo stracchino? guarda che ci sono bambini in africa che non hanno nemmeno il pane"
Lei lo stracchino non l'ha mai mangiato, non è diventata obesa per compensare il senso di colpa nei confronti di altri bambini sconosciuti del terzo mondo, è comunque una stronza venuta su proprio bene.
Mi affaccio alla finestra, come ogni giorno e respiro un po' di quel veleno fuori. La cura giusta, omeopaticamente parlando.
I piccioni provano a circondare un gabbiano intento a sbocconcellare una cornacchia riversa sul marciapiede, a pancia in su già da ieri sera. Più grande e cattivo li tiene a distanza, malgrado il numero, malgrado la città, anche senza il mare.
Come ogni giorno sorrido. In attesa della signora del piano di sopra che batte il tappeto. Polvere sui miei pensieri, affacciato alla finestra.

21 gennaio 2011

gente che parla da sola sull'autobus

C'è un sacco di gente che parla da sola sull'autobus, la mattina.
E non parlano al telefono con cuffia e microfono. No. Parlano proprio da soli.
Si raccontano cose, così magari quelle cambiano, chissà.
La signora che incontro tutte le mattine sul 545 ripete la parola "bastardo" un numero infinito di volte, con intonazione monocorde, quasi fosse un mantra. Però, se presti attenzione, tra un'invettiva e l'altra ci mette delle parole chiave, adatte per aprire la sua storia: andato via, papà, puttana. Ci ho messo due mesi per capire che il marito è fuggito con la badante filippina di suo padre, al quale la questione deve aver spezzato il cuore che, data l'età, non ha retto. E nemmeno lei, evidentemente, perdere in poco tempo il marito e il padre deve averla fatta impazzire. Così ogni mattina si racconta com'è andata, per cercare magari un evento premonitore evidentemente sfuggitole, un segno inosservato, l'ipotesi che possa essere stata anche un po' colpa sua. Poi, invece no! "bastardo, bastardo, bastardo"
Sulla metro delle otto meno un quarto, il vagone di coda, quello più vicino all'uscita quando ferma alla stazione termini, è di conseguenza il vagone più affollato. Lì dentro ci trovo spesso un ragazzo schiacciato quasi dal peso dello zaino pieno di libri. Lo sento che prega ad alta voce, certe volte implora, altre ringrazia. Dipende dalla giornata, evidentemente.
Ad ogni fermata cambia faccia, diventa serio serio, si guarda riflesso nel vetro del finestrino e parla di tomismo, dell'allegoria della caverna, fenomenologia dello spirito e generi della conoscenza. Quando la metro riparte ricomincia con le sue litanie: venerdì l'altro una signora s'è avvicinata per sentire meglio, lui pareva non se ne fosse accorto, poi all'improvviso s'è girato e ha fatto "bù!"
La signora, dopo un balzo di un generoso paio di metri all'indietro, s'è fatta il segno della croce ed è scesa alla prima fermata utile. Probabile fosse nemmeno la sua.
Sul 905 una volta incontrai un vecchio che durante il tragitto fino al capolinea riuscì ad elencare date, armamenti, battaglie e scaramucce della campagna di Grecia nel '40. Ad un certo punto incespicò appena sul nome di un certo capitano di Verona, così per provare a se stesso che la memoria ancora non lo aveva tradito del tutto, snocciolò di filato tutta la sua compagnia, comandanti e sottufficiali inclusi. Scese salutando militarmente il conducente, che ricambiò il saluto.
Quando torno a casa non vedo l'ora di incrociare sul 409 "la principessa", come la chiamo io. Veste coordinata, sempre. Tailleur, sciarpa, cappellino, scarpe, guanti e borsetta in tinta: rosa antico, verde mare, azzurro carta da zucchero, giallo canarino e chissà quanti altri colori, nell'armadio. Pare proprio una donna d'altri tempi, però parla di politica e attualità. Informatissima, ha il solo difetto di mescolare tra loro notizie e personaggi. Un esempio? La nuova legge sull'università è una cosa sbagliata ed è colpa del grande fratello, la chiama “riforma Marcuzzi”.
Chissà cos'è che ti fa parlare da solo sull'autobus. Forse lo stress o i colpi della vita, magari la roba da mangiare che non è più quella di una volta oppure tutto questo traffico. Certe volte penso che magari, senza saperlo, pure io sono diventato un po' pazzo.

"direi proprio di sì"

disse ad alta voce la ragazza che gli era seduta accanto, alzatasi per scendere alla fermata, riordinando nel mentre lunghi dreadlocks di tutti i colori.

19 gennaio 2011

vedere ancora sogni mentre sputi dentifricio*

I sogni di mattina presto hanno un suono e il merlo che mi canta sotto le finestre deve necessariamente sentirli.
me li interrompe sfumandoli sul più bello tutte le volte.
al pennuto non gli piacciono i miei sogni.
la mattina.
presto.
bastardo.

on air/

the black keys : : girl is on my mind

*signature di certo zakka, amabile scrittore leggibile su scriptaVolant

10 gennaio 2011

spiaggia e puttana, stessa pronuncia

Passeggio lento per una spiaggia lunghissima con su ancora impresse le orme di due persone che qui ci hanno camminato fianco a fianco, chissà quando.
L'adriatico è quasi calmo e nel silenzio posso sentire centinaia di gusci che si scontrano sulla riva. Se mi chino sembra quasi cantino.
Un cane bianco corre velocissimo.
Se c’è un cane c’è anche un padrone, penso. Invece sono due. Sagome scure che posso vedere in lontananza, ancora.
La luna è quasi piena.
E la luce delle otto della sera del Mediterraneo è una luce bianca e fredda.
All’orizzonte c'è una nave, sta lì da parecchi giorni, in attesa dell’ordine di sbarco.
Appena sceso il crepuscolo, ha acceso le luci a bordo e calato un paio di gommoni con alcuni marinai che vanno a farsi un giro al porto. Li vedo già nel bar, mentre spiano da dietro i loro bicchieri la cassiera rumena, forse anonima e slavata ma bellissima ai loro occhi.
Lo sguardo veloce del marito italiano, padrone del bar, è in perfetto equilibrio tra gelosia, senso degli affari e sogno erotico. Riprende a sciacquare stoviglie scuotendo impercettibilmente il capo così come sto facendo anche io. E ricomincio a immaginarmi. Camminare piano al tramonto, dietro orme, sulla spiaggia.






on air/

23 dicembre 2010

Er Cicala e il peso delle parole

Che le parole avessero il loro peso, era chiaro a tutti.
Poi, alla cena di fine anno al liceo, un martedì come tutti gli altri, di quelli da spaghetti ricotta e pepe e la coratella coi carciofi per secondo, il vecchio professore parlò. Era un uomo calmo, posato, sempre in ordine, di un'eleganza sobria e profumata di saponetta.
Non si era perso un' assemblea durante l'occupazione, senza mai intervenire ascoltava attento. Ognuno sapeva per certo chi fosse il suo poeta preferito, che amava leggere ascoltando Coltrane, bevendo parchi sorsi di un certo Morellino di non si sa bene quale cantina a Scansano.
Uno tra i più intraprendenti riuscì a trovare il Morellino quella sera, e allora lui parlò.
Con calma, sicuro dell'attenzione della platea. Arrotolando una forchettata di pastasciutta aiutandosi col cucchiaio, cominciò a raccontare dei dieci nervi cranici, del primo in particolare, il più profondo, quello che arrivava diretto alla porzione più antica del cervello, quello che peggio tollera le bugìe.
Il profumo del pepe stuzzicava tutti, spingendo a riflettere su quanto certi modi di dire avessero in effetti un qualche fondamento neurofisiologico ..

"quel tale non me la conta giusta, mi puzza"

ad esempio.

Disse poi di quanto le parole possano ingannare. Perché le parole hanno un peso, fece serio serio versandosi un altro mezzo bicchiere.
Parole capaci di far rivoluzioni, che fanno gli uomini grandi o meschini.
Parole cariche di significato, e parole vuote.
Eccezioni ed eccessi le parole possono contrabbandarli per regola o norma.
Ad esempio basta aggiungere il suffisso -ismo e la parola è alleggerita del suo peso originale. Prendete il caso, disse, della parola “bontà”. Profuma d'incenso e catechismo certo, ma ha un valore. Aggiungi quel suffisso e la svuoterai, si vedrà solo l'apparenza, una forma di esaltazione o ipocrisia. Lo stesso vale per la parola "giustizia", delegittimata con tecnica mafiosa. Utile per bollare una persona pericolosa, cosìcchè nelle orecchie di chi ascolta rimanga solo l’eco dell’-ismo, quel venticello leggero profumato di calunnia: buonisti, giustizialisti.
No, gli uomini e le donne, quando hanno le qualità li dobbiamo chiamare “giusti”. Così come esistono pure i buoni.
Certe parole acquistano significato o cambiano d'importanza seguendo i flussi e gli andamenti sismici della politica o del denaro, ma dentro mantengono integro il loro inganno.
L'imprenditore, ad esempio, contiene al suo interno il concetto di prendere dentro, come un ladro che entra nella tua casa e ti porta via le cose, senza chiedere.
Certe parole invece le dobbiamo proteggere, perché subiscono l'attacco peggiore. Quello delle ri-forme. Si usa questo termine senza sapere che il tessuto che ci lega, ci sostiene e ci tiene assieme è autopoietico, cioè che si costruisce da sé, senza bisogno di riforme o peggio ancora, riformisti.
Così come l'emozione non vuole moderati.
Quell'impulso ad agire in risposta a uno stimolo esterno. Verso l'esterno, in maniera inconscia e senza alcun sentimento.

Come quando involontariamente arrossisci quando ti dico che sei bellissima ma nessuno te lo fa notare e allora non lo saprai mai.

La parola es-pressione invece è proprio quelle troppe cose che ti ribollono dentro quando trovano finalmente una via di uscita.
Operaio, manovale, artigiano hanno tutte a che fare con la parte più nobile e creativa del nostro essere umani, mentre l'insegnante è quello che ti lascia dentro impronte nette e pulite, così come è l'educatore quello che ti porta fuori dalla non conoscenza.
Il politico invece ha il marchio della città sulla pelle, sa di confusione e di rumore.
Se queste parole vengono usate, continuò, devono mantenere il loro peso. Perché senza rimarrebbero involucri freddi, come tombe.
E quando certe parole sono morte, è faticoso poi ricostruirne il vero significato.
Come se perdessimo parte di noi stessi, del mondo attorno. Non riusciremmo più a descrivere qualcosa per come davvero lo vorremmo.
Così come con gli ultimi pezzi di pane ognuno raccolse il sughetto della coratella dai piatti, così ognuno fece con tutto quello che gli correva dentro la testa. Una scarpetta di nuove idee, insomma.
Poi erCicala ancora masticando, colle briciole sulle labbra, sguardo ammirato e grato per tutti quegli insegnamenti, chiese infine:
"mi scusi professore, ma una cosa ancora non mi è chiara .. ma al "prestatore d'opera" qualcuno poi gliela ridà?"

27 agosto 2010

sabbia&coca-cola 2010, insetti la notte

il moscone non preannunciava visite imminenti, vista l'ora di notte, ma era lo stesso assai fastidioso. un ronzìo cieco nel buio della sua camera da letto. già per due volte era stata costretta ad alzarsi, accendere l'abat-jour, aprire le finestre dopo aver scostato la tenda affinchè se ne uscisse da solo, senza costringerla ad adottare misure drastiche. inutilmente. il terzo tentativo fu il più fruttuoso ma per via della luce accesa, uscito il moscone era entrata una farfalla notturna dalle dimensioni ragguardevoli.
sembrava impazzita, girava attorno al lampadario sbattendo ora contro il soffitto ora sulla lampadina. se possibile quella farfalla faceva anche più rumore del moscone.
lei perse la testa, prese nella cesta dei panni da lavare una maglia, attese paziente che la farfalla si posasse sulla parete candida e, noncurante di eventuali macchie sul muro la fulminò con un lancio preciso. poggiata la testa sul cuscino i pensieri presero il sopravvento sul sonno, aveva lasciato libero un moscone, che per inciso le faceva anche alquanto ribrezzo e poi, a causa di quel riguardo nei confronti dell'incolumità dell'insetto, aveva cinicamente ucciso una farfalla.

a cosa servivano le farfalle?
pensò
si ricordò di qualcosa che aveva sentito da chissà chi a proposito del battito della ali della farfalla di New York che poteva pure cambiare il clima a Tokio.
si alzò pensierosa, scostò di nuovo la tenda e guardò fuori.
vide splendere una luna che più piena di così non l'aveva mai vista.
accanto, nel cielo nero, brillavano stelle come pezzi di vetro al sole.
se quella farfalla avesse continuato a sbattere le ali avrebbe di sicuro nascosto quella luna e quelle stelle con nuvole fatidiose come mosconi, in un posto lontano da lì. chissà dove.
sorrise, si distese nel letto, tirò fuori le braccia dalle lenzuola e finalmente si addormentò.

29 luglio 2010

sabbia&coca-cola 2010, castelguidone reprise

è un piccolo mondo,
questo
chiuso da grandi spazi dove almeno lo sguardo
quello sì,
può fuggire via lontano
scarico e senza fiato mi fermo a respirare
l'aria elettrica di un temporale in arrivo.

12 gennaio 2010

nuda proprietà /fine

vorrebbe dirle tutto.
vorrebbe dirle che è un assassino, che uccide per denaro e che è bravo nel suo lavoro. che nessuno mai ha avuto a lamentarsi, non un sospetto, non un'indagine su un anziano morto "casualmente".

vorrebbe dirle che anche lei avrebbe dovuto morire accidentalmente, ma che adesso, aggrappata com'è a lui, con la lingua a rimestargli le parole nella bocca assieme ai baci, la pancia morbida che preme contro il suo sesso ormai in procinto di fargli esplodere i pantaloni, sicuramente vivrà. vorrebbe dirle di non aver paura, che una donna come lei non l'ha mai incontrata nella vita, che sente finalmente che il tempo di cambiare è arrivato, che ha da parte abbastanza soldi, che.

vorrebbe dirle ma non riesce, non può, non può più.

prova a staccarsi dalla morsa di quei baci così lunghi e profondi, troppo.

prova a staccarsi ma un pezzo del suo corpo è come se oramai lo governasse lei, così come la sua voce.
lei non vuole che lui parli, lei non vuole che lui si muova.

Gloria è una donna esperta ma non sa riconoscere l'abbandono che la passione regala alle membra dai sintomi di un meningioma mai diagnosticato che comincia a sanguinare.

non sospetta nemmeno che i suoi baci, il suo corpo, le sue carezze possano innalzare la pressione sanguigna a tal punto.

 

§

 

Alcuni mesi dopo per Gloria non è più tempo di pensare ai cognati o ai nipoti, nè alle piccole cose che prima riempivano le sue giornate. alcuni mesi dopo si tratta solo di stare accanto a quell'uomo che pian piano ricomincia a muoversi, che sta re-imparando a lavarsi e vestirsi da solo e che ha ancora bisogno di aiuto, che però non potrà più parlare, forse.

il suo tempo adesso vuole solo attenzione per quell'uomo davanti a lei, l'uomo che ama e del quale non sa niente,

quell'uomo davanti a lei

in piedi 

nudo, 

7 gennaio 2010

nuda proprietà /3

Non è il caffè il motivo dell'inconsueta eccitazione che la agita nel letto, da ore ormai si gira e si volta, sbuffa non riuscendo a tenere gli occhi chiusi.
gloria lo sa che se lascia che le palpebre scendano, in quel buio è come se qualcuno cominciasse a proiettargli un film nella testa.

rivede l'ombra di lui allungarsi sul muro bianco, lo risente respirare, addirittura è come se potesse risentire il suo odore .. 

più che odore, un profumo.

e poi quelle mani lunghe, eleganti, quasi inadeguate per un elettricista. rapide e sapienti col cercafase dentro il suo quadro elettrico alla ricerca del probabile falso contatto che condizionava l'erogazione dell'intero condominio, origine della telefonata dell'enel che l'aveva avvisata dell'arrivo di un loro tecnico.

pareva più un dirigente, un ingegnere magari, così distinto e snello. "proprio un bell'uomo" aveva pensato arrossendo dentro.

gloria da giovane non era stata appariscente, piccolina, magra.

ma andando avanti con l'età s'era guadagnata un po' più di rotondità nei punti adatti, i capelli erano ancora folti e ribelli e il seno non aveva ceduto alle lusinghe della forza di gravità. era una baby-faced, ancora attiva, una donna molto attraente e lui l'aveva guardata a lungo negli occhi mentre parlavano dell'impianto elettrico.

la guardava in profondità mentre prendevano appuntamento per il giorno seguente, per verificare tutte le prese dell'appartamento.

gloria nel letto si agita ripensando a quello sguardo e l'idea di avere quell'uomo in casa di nuovo il giorno seguente la rende nervosa. o forse altro? si chiede mentre lascia scivolare piano una mano sotto il pigiama, oltre lo slip.

3 gennaio 2010

nuda proprietà /2

anziani ne morivano nel quartiere. di continuo e, oltre che di malattia, per i motivi più svariati.
c'era chi gli pigliava un ictus per lo sforzo durante un'attacco di stipsi, chi cadeva per le scale, chi affogava nella vasca da bagno, chi restava sulla strada investito da un'auto in retromarcia che usciva dal parcheggio. per molte persone anziane anche la frattura della testa del femore, evento estremamente comune a causa della perdita di calcio osseo in età avanzata, risultava letale qualche tempo dopo il ricovero in ospedale. 

c'era stato perfino il caso di un pensionato nemmeno troppo vecchio il cui cuore non aveva retto alle massicce dosi di viagra assunte a seguito dell'assunzione da parte dei figli di una matura ma ancora molto piacente badante moldava, la quale di certo non badava alla regola secondo la quale è inopportuno andare a letto col proprio badato.

 

"anziani ne muoiono di continuo e per i motivi più svariati" pensava gualtiero sorridendo e sorseggiando il suo espresso mattutino seduto ad un tavolo coi giornali ripiegati in buon ordine poggiati vicino al piattino della briòsc.

 

vicino ai cinquanta, brizzolato e snello, sempre ben vestito e profumato. un uomo distinto, lo si sarebbe detto e in effetti si distingueva da tutti gli altri, nella sua professione di killer.

discreto, silenzioso, fantasioso e addirittura geniale in certe sue performances. come la volta che si spacciò per assistente sanitario della asl e iniettò 10cc di aria purissima nella safena della signora adele, ottantenne ancora arzilla, morta qualche giorno dopo in ospedale a seguito, come recitava la cartella clinica, di flebite fulminante.

la signora adele non lasciava parenti stretti, come tutte le sue vittime d'altronde, ma risolveva un contratto di vendita in nuda proprietà. trecentomila euro per 120 metri quadri, balconatissimi, splendida esposizione fronte parco, no garage, cantina, posto auto, centralissimo.

trentamila subito stornati sul suo conto estero, il dieci per cento, la sua tariffa di killer, distinto, ben vestito e profumato, letale.

nuda proprietà /1

 


il profumo del caffè si sparge per la casa, la vecchia casa della nonna, ancora cogli antichi pavimenti, un po' sconnessi è vero, ma che Gloria non cambierebbe con queste nuove monocotture dalle fughe di due centimentri e i decori a mosaico che le sue amiche da anni le consigliano.

le porte di abete bianco si aprono e si chiudono senza cigolare, gli infissi delle finestre anch'essi in legno lasciano respirare le stanze, educati da cent'anni di vento, pioggia, caldo e freddo.

Gloria è perfettamente a suo agio nella sua casa, la temperatura è sempre quella giusta, tutto sempre in ordine.

Smette di spolverare e mettere a posto la libreria appena annusata l'aria, lascia per un po' le faccende e si concede una pausa.

Certe volte rimane ipnotizzata dal rumore ciclico del cucchiaino che miscela lo zucchero nella tazzina del servizio buono, piccoli lussi che ancora si concede: il caffè della torrefazione, macinato in casa nel giorno giusto, con la luna giusta.

la vecchia moka da collezione.

lo zucchero marrone a grani grossi che quando lo prendi su si muove da solo che quasi sembra vivo.

poi sorseggia, alza lo sguardo verso la finestra e pensa che, sì, la sua è stata una scelta giusta.

vendere in nuda proprietà la casa, abitarci ancora con in tasca i soldi che le bastano per vivere dignitosamente per tutti gli anni che le restano.

Ha 55 anni, mai sposata, niente figli, due sorelle più piccole morte entrambe prematuramente, due cognati che non riesce a decidere a chi dei due dare la palma di coglione maggiore, tre nipoti viziati e menefreghisti coi quali ha da tempo un rapporto ormai consolidato di odio cordiale. 

ricambiato, peraltro.

perchè mai avrebbe dovuto lasciare la casa in eredità a certa gente?

cos'avevano fatto per meritarla?

 

c'era quell'inserzione giù, all'agenzia immobiliare sotto casa: "nuda proprietà, il tuo futuro si riveste"

 

perchè no?

le avrebbero valutato la casa molto meno del suo valore reale visti gli anni che ancora le rimanevano da vivere prima che questa potesse passare al nuovo acquirente, ma erano soldi freschi, suoi, onesti e le servivano.

 

se poi questa mossa avesse provocato uno stravaso di bile ai suoi parenti, tanto meglio. 

allora sorseggia e sorride .. (continua)

on air/

warpaint : : stars

foto : : stillpoint, 25 dicembre a zonzo per casaprota, RI (case antiche e alberi di cachi)






23 ottobre 2009

yas (yet another snapshot)




stretta la foglia larga la via
avete fatto la vostra ora dico la mia:

c'è un gruppetto di studenti al bar
parlano di "'sto cazzo de latino"
"tzoccola che a ottobre già 'r primo compito"
una di loro mostra ai raggi del sole delle novemenunquarto
il lavoro del suo ortodontista
costato chissà quante ore di straordinario a un padre stanco e sfiduciato, ormai
brilla
acceca quasi
metallico e freddo
poi da quella bocca armata d'apparecchio e vistosissimo rossetto esce uno sputo preciso.
galleggia in una pozzanghera d'acqua scura assieme al mio sguardo riflesso.
un altro, assente dai discorsi dei compagni di scuola, lecca per lungo una cartina grande, poi ne strappa via l'eccesso
provo ad immaginarmi nei panni della tzoccola
che lo interroga
che annega nel silenzio che ne segue
assente e ignorante
poi nello sguardo inebedito e arrossato di un giovane studente stonato già alla seconda ora.
mi giro verso il bar di fronte
fuori, seduto contro il muro, un pensionato strappa un pezzetto di briòsc
la inzuppa nel caffellàtte
lascia cadere le gocce di troppo
e con mano tremolante porta alla bocca.
sul muro dietro di lui con la vernice rossa c'è scritto
quando vai in guerra il nemico poi ti spara
mi aspetto da un momento all'altro di veder traballare sulla mia giacca la luce rossa di un puntatore laser
in guerra, io, mi ci sento da un pezzo.

stretta la via larga la foglia
sotto spesso ci si nasconde una merda di cane.


art/amilcare di paolo : : autoritratto

di lui osea cipriani scrive:

Amilcare Di Paolo raccoglie ogni genere di oggetto che cattura la sua attenzione: legni scheggiati, vecchi elementi di ferro, pietre erose dal vento o dall’acqua; li riporta nelle sue opere concedendogli lo spazio per ricaricarsi, con il resto della composizione, di una componente magica piena di affettuosa ironia. La sua superficie non è mai piatta e sognante, spesso la trattazione è drammatica, basti vedere l’uso frequente dei graffi e delle incisioni, che svelano una natura tormentata, afflitta dalla nostalgia per quella felicità che poteva essere e non è mai stata.


..ecco, appunto.

on air/

frangar non flectar : : la trappola

di loro stessi invece scrivono :

Quindici anni di storia e la necessità di trovare l'essenziale, la sostanza, l'origine. Il suono , la parola che includano tutto il resto. Niente abbellimenti, niente fronzoli. Rock 'n' Roll'. Puro e semplice.
La poesia è nel gesto diretto, scarno, che non ammette equivoci. Nella sincerità assoluta, che si fa sussurro e si fa volo. C'è l'orgoglio di offrirsi con la propria unica verità, quella del corpo e del sangue.

su jamendo c'è tutto l'album.

7 giugno 2009

strange days

Erano giorni che si sudava pure a stare fermi.
Giorni di aria mossa e neppure troppo calda, ma anche il semplice stare in piedi, al mondo, per tutti noi era fatica.
ci sembrava tutto alterato, la percezione del tempo che passava, l'alternarsi di sonno e veglia, cosa ancora giusto e cosa sbagliato, l'idea stessa di un domani migliore.
erano giorni, si sarebbe detto, che non lasciavano spazio alla possibilità d'immaginarlo, un domani.
giorni che morivano quando dopo esserci girati e rigirati innumerevoli volte nel letto, ci addormentavamo. e il giorno dopo, ci sentivamo stanchi. come se in sogno avessimo continuato a vivere, faticare, sudare senza però avere più memoria di quanto accaduto appena un giorno prima.
pensavamo che appena tutto fosse finito però ci saremmo ricordati i rumori, e gli odori anche, perchè era come se rimanessero attivi solo i sensi più antichi, quasi vicariassero le immagini sfocate che a ondate ci arrivavano dai televisori intorno.
tutti si sperava in un rumore più forte, un'esplosione, magari, qualcosa che ci sollevasse dal torpore umido nel quale eravamo immersi da troppo tempo.
un segno qualsiasi che la rivoluzione era finalmente cominciata.

afro fiesta : : talkin' 'bout a revolution