come i peccati capitali, i nani & i colli, i re di roma, per fare la primiera e i brani della compilation entro i quali scrivo. giocare col tempo sottovalutandolo è diventata la mia specialità, mettere le mani e il pensiero sul dolore degli altri facendomi a pezzi con naturalezza il mio numero migliore, avendo tutti i numeri per condurre la mia vita nel porto che preferisco, tra quelli ancora disponibili. come quando, adolescente, le parole e i baci non mi bastavano mai, non bastano due rughe in più a farmi cambiare opinione. settimo brano, paranoid android per piano solo live di brad mehldau...applausi...fine della canzone...fine
interpol/slowhand
ludovico einaudi/i giorni
husker du/chartered trip
cristina donà/goccia
ronin/nada
elettrojoice/aliante
30 novembre 2004
28 novembre 2004
sofia..
m'impedisce di scrivere quel che vorrei e come vorrei...provo a distrarla con i colori & un foglio bianco, allah voglia che disegni la più bella del reame impiegando almeno 5 minuti...allah è grande ma non così grande, dopo 2 minuti eccola che torna alla carica: "è bellissima, brava...ma ora colora i capelli col marrone.."..non ci casca, dice che è bella così e che io non capisco l'arte infantile e che dovrei fare un post graduate per papà matusa (il tutto me lo dice con un solo sguardo). rabbrividisco un po' ma me ne faccio una ragione, poi si dilegua e torna col pongo atossico..mi guarda sdegnata e traffica sul suo tavolino con pentole, coltelli di plastica e formine...con l'impegno che profonde potrebbe tirare fuori la pietra filosofale.
26 novembre 2004
uno (un antefatto)
Anno ottocentottanta dopo cristo, all'incirca. Interno del molise. Passata l'alba.
Sulle rive del fiume Volturno nei pressi di Castel San Vincenzo, un frate, scalzo e magro, cerca ingredienti per le sue alchimie fra cespugli e rocce. Lento raccoglie alcuni rametti di una pianta che, dopo aver accuratamente esaminata, annusata, assaggiata, ripone nella piccola bisaccia legata alla vita. Un forte rumore lo scuote d'improvviso, si rialza guardando verso il monastero dietro la collina. Come un cane annusa l'aria, cercando con tutti i suoi sensi di capire cosa stia succedendo. Un secondo rumore, forte, come di schianto, seguito dall'approssimarsi di voci e grida, sempre più forti, sempre più vicine, allertano il frate e lo convincono a tornare verso il sentiero che conduce alla collina che separa il fiume dal monastero. Corre, salta cespugli e rocce, incurante dei rovi e dei cardi che gli feriscono le gambe, infine sul ciglio del sentiero, quando le grida, i rumori e le voci diventano ormai chiare, si ripara dentro un piccolo gruppo di arbusti fitto a sufficenza per nasconderlo. Il giorno che inizia dà luce abbastanza per vedere l'orrore. Le voci sono sempre più forti, incomprensibili, le urla sempre di meno, lo sfondo sonoro è fatto invece di lamenti, fiochi e lontani, e rumori di tonfi e schianti ovattati che il frate riconosce rabbrividendo e chiudendosi ancora un po' di più nella vegetazione. Riconosce Memmo, che corre spuntando da una curva del sentiero, Memmo che corre verso il fiume, scomposto e sconvolto, il contrario di come il frate aveva sempre visto il mastro vetraio Memmo, sereno e chino a disegnare e progettare grandi finestre per chiese e palazzi, con le immagini dei santi e degli angeli e tutti quei colori che cambiavano ad ogni ora del giorno, ad ogni stagione, a seconda della luce che le attraversavano. Memmo che ora corre, che ora cade, come fulminato dall'ira di déi malevoli. Raggiunto invece da una freccia alla schiena, il frate ora la vede, piantata alla base del collo, dopo averne sentito il rumore sordo, rumore di carne e di ossa e di sangue che scorre. Riconosce Memmo che ora ha smesso di muoversi e respirare, raggiunto infine dal suo assassino che lo gira con un piede, si china su di lui e strappa la piccola borsa di pelle legata alla cintura. Non conosce quell'uomo, tantomeno l'altro che arriva subito dopo, non conosce il loro idioma, nè i loro vestiti, non ha mai visto quei turbanti e non capisce cosa si stiano dicendo, ma impallidisce comunque, non possono essere altro che Saraceni. Arabi spietati e sanguinari, che saccheggiano, uccidono e fuggono, che attaccano e danno alle fiamme al servizio del duca vescovo di Napoli.
Sulle rive del fiume Volturno nei pressi di Castel San Vincenzo, un frate, scalzo e magro, cerca ingredienti per le sue alchimie fra cespugli e rocce. Lento raccoglie alcuni rametti di una pianta che, dopo aver accuratamente esaminata, annusata, assaggiata, ripone nella piccola bisaccia legata alla vita. Un forte rumore lo scuote d'improvviso, si rialza guardando verso il monastero dietro la collina. Come un cane annusa l'aria, cercando con tutti i suoi sensi di capire cosa stia succedendo. Un secondo rumore, forte, come di schianto, seguito dall'approssimarsi di voci e grida, sempre più forti, sempre più vicine, allertano il frate e lo convincono a tornare verso il sentiero che conduce alla collina che separa il fiume dal monastero. Corre, salta cespugli e rocce, incurante dei rovi e dei cardi che gli feriscono le gambe, infine sul ciglio del sentiero, quando le grida, i rumori e le voci diventano ormai chiare, si ripara dentro un piccolo gruppo di arbusti fitto a sufficenza per nasconderlo. Il giorno che inizia dà luce abbastanza per vedere l'orrore. Le voci sono sempre più forti, incomprensibili, le urla sempre di meno, lo sfondo sonoro è fatto invece di lamenti, fiochi e lontani, e rumori di tonfi e schianti ovattati che il frate riconosce rabbrividendo e chiudendosi ancora un po' di più nella vegetazione. Riconosce Memmo, che corre spuntando da una curva del sentiero, Memmo che corre verso il fiume, scomposto e sconvolto, il contrario di come il frate aveva sempre visto il mastro vetraio Memmo, sereno e chino a disegnare e progettare grandi finestre per chiese e palazzi, con le immagini dei santi e degli angeli e tutti quei colori che cambiavano ad ogni ora del giorno, ad ogni stagione, a seconda della luce che le attraversavano. Memmo che ora corre, che ora cade, come fulminato dall'ira di déi malevoli. Raggiunto invece da una freccia alla schiena, il frate ora la vede, piantata alla base del collo, dopo averne sentito il rumore sordo, rumore di carne e di ossa e di sangue che scorre. Riconosce Memmo che ora ha smesso di muoversi e respirare, raggiunto infine dal suo assassino che lo gira con un piede, si china su di lui e strappa la piccola borsa di pelle legata alla cintura. Non conosce quell'uomo, tantomeno l'altro che arriva subito dopo, non conosce il loro idioma, nè i loro vestiti, non ha mai visto quei turbanti e non capisce cosa si stiano dicendo, ma impallidisce comunque, non possono essere altro che Saraceni. Arabi spietati e sanguinari, che saccheggiano, uccidono e fuggono, che attaccano e danno alle fiamme al servizio del duca vescovo di Napoli.
quer pasticciaccio brutto de via merulana?
nell'armadio tengo sempre nascosta una giornata come questa per le emergenze, mentre piove mi trastullo, bighellono, smanetto al computer (venerandi dice che senza le donne gli uomini sarebbero in balia dei computer), lurko it.fan.culo. i pazienti che disdicono gli appuntamenti qualche ora prima io li odio! avrei potuto fare una improvvisata a qualche amico che non frequento da tempo, bottiglia di vino bianco, pistacchi e giu' a parlare di roma, figa, se siamo davvero innocenti perchè 'sta condanna di berlusconi? eppoi del basket che non e' piu' quello di una volta..invece a casa ad aggiustare il blog, ci metto le categorie, titoli di romanzi, a ovest di roma di john fante, un giorno dopo l'altro di lucarelli e il mio...ci provo...graditi commenti & collaborazioni.
19 novembre 2004
(made with) gEdit
vago nello spazio cibernetico ormai da un po' e m'imbatto in personaggi con improbabili nicknames e signatures da oscar tele(gatto)matico, blogs ridondanti di parole ..alla faccia di chi profetizzava la morte della scrittura con l'avvento della multimedialita'...su carta o su schermo o scritte col polpastrello su un vetro appannato col fiato, sempre quello sono...parole che evocano immagini. ho lanciato il mio editor preferito, un programmillo umile che non crasha nemmeno se gli dai del word, in una finestra ridotta che mi permette di vedere in periferia quel che succede sul mailer. ho scoperto il retrocomputing, lo facevo da tempo senza saperlo, rifar funzionare vecchie macchine pare che non sia solo qualcosa per semplici appassionati bensì la spia di patogie piu' gravi.. secondo autorevoli esponenti di questo hobby...
secondo me innanzitutto non e' un 286 nel culo.
secondo me innanzitutto non e' un 286 nel culo.
18 novembre 2004
attesa
è come quando si sente improvvisamente a maggio o giugno, o comunque quando meno te lo aspetti, un odore di natale, di foglie morte...dolce e destabilizzante al contempo..non perchè quell'odore sia reale, ma solo perchè per una strana associazione, misteri sinaptici, tra "qualcosa" ed il natale colpiscono nel profondo...e quale cosa è più profonda e ancestrale di un odore?..e quell'odore a sua volta innesca una ridda di pensieri più o meno collegati tra loro (stai alla larga cortex), ed i pensieri e le idee in maniera naturale e inconsapevole (cortex dove sei?) conducono verso desideri e umori mutevoli..proprio ciò che accade a natale...giorni di riposo e di confusione per le strade e di preti che cianciano di natività e di massaie nei mercati, di bimbi felici e padri depressi, di pubblicità in tv, del disco nuovo che ti hanno regalato per natale, di parenti, di fritti e di dolci e pessimi spumanti,odore di quella donna,odore in realtà di prodromo di fine anno, ogni attesa è un odore di natale che nasconde un desiderio di capodanno.
17 novembre 2004
il diaframma & la corazza
E' solo il gusto (molto incoscente) di battere le dita al ritmo della musica che ho scelto e lasciar fluire le parole, come fare una passeggiata con la testa tra le nuvole ed i piedi sugli scogli: non e' importante dove vai ma il ritmo che metti nel poggiarti ogni volta su di una sporgenza differente, evitando di cadere ma senza rallentare. e' tutto li', in quell'attimo, quel solo secondo in cui potresti cadere e farti davvero del male, in quel lasso di tempo in cui realizzi che la dissonanza che potrebbe infastidire su minerva dei deftones e' in realta' una tonica dominante col potere di accendere, ed io decido di abbandonarmici in maniera molto poco zen, convinto fin nel profondo che e' comunque irrilevante....
8 novembre 2004
smanetto & smadonno
giorni che cerco di far funzionare un modem ethernet adsl sotto linux, la libertà informatica ha un prezzo, la mia ignoranza informatica nessun limite.
5 novembre 2004
notte nel termitaio TV
arafat cerebralmente morto, altri 4 anni, la telecronaca di pistocchi della roma in coppa, bobo craxi & la vedova almirante a 12° round...decido di farmi ancora più male e scopro che antonella elìa è straordinaria sull'isola dei famosi: personalità strutturata, provocatoria, quasi fastidiosa, elegante quando si muove o nuota. non saprei dire quanta oscurità sia piombata sul mio spirito davanti alla televisione...il metronotte è l'unità di misura del buio?
4 novembre 2004
un pianeta sconfitto (4 more years)
con la testa altrove
giro intorno
il tempo di guardare un cane che corre a riprendere nessun bastone
per gioco calpesto foglie
giro intorno
il tempo di guardare un cane che corre a riprendere nessun bastone
per gioco calpesto foglie
2 novembre 2004
castel s.vincenzo
malìe si rincorrono
rimbalzano e vibrano
su pietre antiche
dure
rosse di sangue che fu
pioggia inutile ne bagna l'asprezza
feroce
senza tempo nè domande
sudore che il vento raggela
il mare è lontano
fuga remota
il sole ed il vento
pelle dura antica e rossa
di sangue
feroce
gela.
rimbalzano e vibrano
su pietre antiche
dure
rosse di sangue che fu
pioggia inutile ne bagna l'asprezza
feroce
senza tempo nè domande
sudore che il vento raggela
il mare è lontano
fuga remota
il sole ed il vento
pelle dura antica e rossa
di sangue
feroce
gela.
1 novembre 2004
hai fame o sete? sei spaventato e disilluso? certe volte ti senti il cuore nelle scarpe e tuttavia non puoi fare a meno di camminarci sopra? voci che si sovrappongono rendendosi incomprensibili a vicenda, mani che battono un ritmo che cresce insieme al battito del cuore, e' solo un cuore che diventa un applauso, e' un diluvio avvolto da notte e coperte, e' un diluvio di un solo secondo , ormai lo riconosco, scivolo veloce nell'oscurita' e mi abbandono e penso che carne e sangue e il resto come il tutto, e' irrilevante. fuori tutto brucia e non riesco piu' a scaldarmi, unghie che graffiano l'asfalto e muri che crescono germogliando intorno, mentre guardo a quanto cielo ci rimane. quello che sento e' una voce che mi chiede se ho fame o sete ma io non so nulla e tutto immagino, il resto posso solo sognarlo, per questo andro' a dormire.
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