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23 dicembre 2010

Er Cicala e il peso delle parole

Che le parole avessero il loro peso, era chiaro a tutti.
Poi, alla cena di fine anno al liceo, un martedì come tutti gli altri, di quelli da spaghetti ricotta e pepe e la coratella coi carciofi per secondo, il vecchio professore parlò. Era un uomo calmo, posato, sempre in ordine, di un'eleganza sobria e profumata di saponetta.
Non si era perso un' assemblea durante l'occupazione, senza mai intervenire ascoltava attento. Ognuno sapeva per certo chi fosse il suo poeta preferito, che amava leggere ascoltando Coltrane, bevendo parchi sorsi di un certo Morellino di non si sa bene quale cantina a Scansano.
Uno tra i più intraprendenti riuscì a trovare il Morellino quella sera, e allora lui parlò.
Con calma, sicuro dell'attenzione della platea. Arrotolando una forchettata di pastasciutta aiutandosi col cucchiaio, cominciò a raccontare dei dieci nervi cranici, del primo in particolare, il più profondo, quello che arrivava diretto alla porzione più antica del cervello, quello che peggio tollera le bugìe.
Il profumo del pepe stuzzicava tutti, spingendo a riflettere su quanto certi modi di dire avessero in effetti un qualche fondamento neurofisiologico ..

"quel tale non me la conta giusta, mi puzza"

ad esempio.

Disse poi di quanto le parole possano ingannare. Perché le parole hanno un peso, fece serio serio versandosi un altro mezzo bicchiere.
Parole capaci di far rivoluzioni, che fanno gli uomini grandi o meschini.
Parole cariche di significato, e parole vuote.
Eccezioni ed eccessi le parole possono contrabbandarli per regola o norma.
Ad esempio basta aggiungere il suffisso -ismo e la parola è alleggerita del suo peso originale. Prendete il caso, disse, della parola “bontà”. Profuma d'incenso e catechismo certo, ma ha un valore. Aggiungi quel suffisso e la svuoterai, si vedrà solo l'apparenza, una forma di esaltazione o ipocrisia. Lo stesso vale per la parola "giustizia", delegittimata con tecnica mafiosa. Utile per bollare una persona pericolosa, cosìcchè nelle orecchie di chi ascolta rimanga solo l’eco dell’-ismo, quel venticello leggero profumato di calunnia: buonisti, giustizialisti.
No, gli uomini e le donne, quando hanno le qualità li dobbiamo chiamare “giusti”. Così come esistono pure i buoni.
Certe parole acquistano significato o cambiano d'importanza seguendo i flussi e gli andamenti sismici della politica o del denaro, ma dentro mantengono integro il loro inganno.
L'imprenditore, ad esempio, contiene al suo interno il concetto di prendere dentro, come un ladro che entra nella tua casa e ti porta via le cose, senza chiedere.
Certe parole invece le dobbiamo proteggere, perché subiscono l'attacco peggiore. Quello delle ri-forme. Si usa questo termine senza sapere che il tessuto che ci lega, ci sostiene e ci tiene assieme è autopoietico, cioè che si costruisce da sé, senza bisogno di riforme o peggio ancora, riformisti.
Così come l'emozione non vuole moderati.
Quell'impulso ad agire in risposta a uno stimolo esterno. Verso l'esterno, in maniera inconscia e senza alcun sentimento.

Come quando involontariamente arrossisci quando ti dico che sei bellissima ma nessuno te lo fa notare e allora non lo saprai mai.

La parola es-pressione invece è proprio quelle troppe cose che ti ribollono dentro quando trovano finalmente una via di uscita.
Operaio, manovale, artigiano hanno tutte a che fare con la parte più nobile e creativa del nostro essere umani, mentre l'insegnante è quello che ti lascia dentro impronte nette e pulite, così come è l'educatore quello che ti porta fuori dalla non conoscenza.
Il politico invece ha il marchio della città sulla pelle, sa di confusione e di rumore.
Se queste parole vengono usate, continuò, devono mantenere il loro peso. Perché senza rimarrebbero involucri freddi, come tombe.
E quando certe parole sono morte, è faticoso poi ricostruirne il vero significato.
Come se perdessimo parte di noi stessi, del mondo attorno. Non riusciremmo più a descrivere qualcosa per come davvero lo vorremmo.
Così come con gli ultimi pezzi di pane ognuno raccolse il sughetto della coratella dai piatti, così ognuno fece con tutto quello che gli correva dentro la testa. Una scarpetta di nuove idee, insomma.
Poi erCicala ancora masticando, colle briciole sulle labbra, sguardo ammirato e grato per tutti quegli insegnamenti, chiese infine:
"mi scusi professore, ma una cosa ancora non mi è chiara .. ma al "prestatore d'opera" qualcuno poi gliela ridà?"

9 gennaio 2007

the wall

"bei jeans" pensò tra sè er cicala con lo sguardo incollato alla generosa porzione di fondoschiena mista ad un appena intravisibile perizoma nero entrambi palesati dall'antica quanto di nuovo in auge moda di lacerarsi i pantaloni.
la ragazza era intenta, cosa davvero inusuale, a fotografare il muro grigio di una falegnameria ormai in stato di abbandono.
tra insulti romanisti e cancellature laziali, falcemmartelli e svastiche scrostate, faceva capolino un piccolo "betta ti amo", a riassumere quella che era diventata da qualche anno la tendenza contenutistica dei graffiti romani in quella zona della città. era ormai passato il tempo dei "co' sto caldo ce voleva un bel governo ombra" o "isolation intellectuelle" o del mai decifrato "rachel ani oevotka" che qualcuno, forse per condividere la frustrazione della curiosità mai soddisfatta, aveva copiato da un muro dell'isola tiberina.
inforcati gli occhiali da sole, abbassato il volume dell'i-pod, sistemato il berretto, er cicala indossò il miglior sorriso che aveva, con passo sicuro si avvicinò e chiese: "..betta?"

nell'i-pod der cicala mentre zompetta con passo da adescatore/
liquid spy network::down to the minimal

17 dicembre 2006

pomiparlanti & faterosicone

c'erano una volta
un seme sul prato
il caso in agguato
un corvaccio s'un ramo
di molto affamato
e i corvi si sa, distruggono i semi col loro becco ignorante, e mentre l'oscuro volatile spiegava le ali per planare giù, un maialino selvatico parimenti digiuno, lo anticipò e ingoiò il seme tuttintero.
il giorno dopo il porcello pascolava tranquillo in una radura nel bosco quando all'improvviso gli scappò di fare cacca..

scelse un posticino niente male e via! in men che non si dica si liberò.
e insieme a tutto il resto c'era anche il piccolo seme, sano&salvo, quantunque puzzolente.

la terra grassa della radura unita al concime naturale, alla pioggia e al sole e alle vibrazioni d'ammore proprie del luogo, fecero sì che nascesse e crescesse la pianta più bella del bosco.

ma facciamo un passo indietro..

il maialino, ancora affamato il giorno che rubò il seme, continuando a girovagare per il bosco si ritrovò sul sentiero che portava a casa della strega turchina..

vogliamo fare insieme un altro passo indietro? massì facciamolo

la strega turchina in realtà non era sempre stata strega, un tempo stimata e benvoluta fata dei boschi, aveva presto commesso un unico ma terribile errore: quello d'innamorarsi del principe, figlio del sovrano del reame di ....
un brutto giorno, (per celestina, lapislazzuli, o come cavolo si chiamava!) il principe, caduto da cavallo, venne soccorso e curato da Egle.

Egle era una giovane e bella contadina dalla chioma corvina e gli occhi cilestrini e, come spesso succede in certe situazioni, i due prontamente si piacquero e s'innamorarono.

l'ancora fata, turchina per via dei capelli naturalmente, prese molto male la cosa e ancor più cieca d'amore per il giovane prence, uscì di senno.
così si rintanò nella sua casetta nei boschi a pensare e riflettere e tramare e leggere e studiare vecchi, polverosi manuali di magìa, finchè non ne uscì completamente trasformata nell'aspetto ma soprattutto nelle intenzioni.
così andò nel bosco in cerca di erbe rare e insetti, rospi e pipistrelli, acque di fonti maledette e funghi dalle strane proprietà, insomma una quantità di stranezze di natura presenti in quei luoghi in grande abbondanza.
tornata a casa, accese il fuoco sotto il pentolone e cominciò a preparare una pozione magica che avrebbe trasformato i due sventurati amanti in fattori di tragedie.
il terribile preparato della neo-strega avrebbe trasformato il figlio del loro amore in orrido mostro, terribile drago o assassino seriale, questo a turchina ancora non era completamente chiaro, così come non fu chiara la sua vista, essendo cieca d'amore, ricordiamo, nella lettura e interpretazione di quei libri tanto magici quanto ragnatelati.
fu così che scambiò le quantità degli ingredienti, mettendo infatti due prese di caccole d'occhio di pipistrello e solo una di funghetto gnè-gnè, sbagliò il tempo di cottura e addirittura girò e rigirò col mestolo in senso inverso a quello dovuto..
sbagliò la pronuncia della formula magica e sternutì spargendo nel pentolone milioni di germi felici come lemmings che precipitano in gaia compagnia.
e la pozione, come talvolta fanno le mayonnaises (ma anche le polente, credo), impazzì.
il risultato fu che la strega in erba dovette buttare tutto nel secchio dei rifiuti organici, quello del compost, appena fuor di casa.
a margine del sentiero..

il maialino, reso intrepido dalla fame si avvicinò quatto quatto e nottetempo frugò e grufolò tra l'immondizia contaminata dai patogeni della corizza e dalla pozione cialtrona.

il seme, nei visceri del giovane suino, si ritrovò immediatamente circondato ed immerso in un'atmosfera magica (un po' come quando entri all'olimpico durante l'inno di venditti), e si sentì subito diverso,
non più...
oppure meno...
differente. ecco.

la pianta cresciuta e pasciuta nella radura, nata da un seme fata-lmente modificato, cominciò a dare i suoi frutti.
erano pomi rossi più grandi, lucidi e presumibilmente dolci degli altri. chiunque passasse di lì, uomo o animale, era incantato alla vista di siffatte mele e nel tentativo di afferrarne una rimaneva agghiacciato nel sentire il frutto cominciare a parlare e dire cose irripetibili.
mele magiche parlanti.
ecco cosa aveva prodotto l'unione di un seme con l'errore umano, anzi, fatale.
"come se non bastassero gli uomini a dire scemenze", pensò turchina passando un giorno per la radura e rimanendo meno turbata degli altri, essendo lei abituata a misurarsi con cose soprannaturali.
così si allungò verso il ramo più vicino e, dopo aver afferrato la mela più rossa, lucente e impertinente dell'albero, diede un morso profondo.
d'improvviso gli uccellini smisero di cantare, nuvole grigie velarono il sole, un vento fresco si levò a scompigliare i capelli della strega, già improbabili nel colore.
un'improvvisa e invadente dolcezza si fece strada nella sua bocca e da lì si sparse moltiplicandosi per le membra e il corpo tutto, trasformandosi infine in un senso di diffusa bontà.
poi una specie di magìa fece sì che i capelli diventassero finalmente di un morbido biondo cenere, tanto di moda a quei tempi, al posto degli stracci un vestito di vago sapore vintage color prugna si materializzò,  le guance lievemente arrossirono e le labbra lievitarono come in preda ad impeto siliconico. le scarpacce nere furono le uniche a mantenere una certa somiglianza, si modificarono appena prendendo le fattezze di lucidi anfibi, perfetti per gironzolare per boschi ma anche per pogare con un certo style ad un eventuale rave di folletti e gnomi.

le mele magiche parlavano, indicibili improperi, certo, ma solo per tenere lontani gli immeritevoli e i fifoni. gli scettici viceversa, che avessero avuto l'ardire di assaggiare il frutto cianciante sarebbero entrati in un magico mood di bellezza & bontà, kalòs kai agathòs, come diceva omero, intruppando agli spigoli e inciampando nel guinzaglio del suo cane per ciechi.

il frutto rendeva più buoni, forse per le vitamine, chissà, ma non tutti potevano mangiarne, perchè se tutti diventassero buoni, i cattivi che fine farebbero?
e senza un cattivo cui paragonarsi, chi potrà dire che sei davvero buono?
ma soprattutto per una questione di perpetuazione della specie
o per motivi evolutivi
perchè magari dall'unione di un buono e un cattivo viene fuori un giusto.

le mele magiche crescono per caso, per corvo e per maiale, in una radura nascosta nel bosco, se le mangi diventi buono, come la strega che adesso fa la pierre al congresso dei maghi o agli eventi al castello, sorride sempre e per tutti ha una parola gentile.
anche per Egle che, dopo quattro figli, ha mezz'ettaro di schiena coltivato a culo, e per il principe fedifrago, ormai abbrutito dal menàge, al quale riserva anche una strizzatina d'occhio.

le mele magiche, bimba mia, naturalmente non esistono, tantomeno le fate.
certi principi poi fan cose che è meglio lasciar stare.
chissà..forse conviene imparare a dosare meglio gli ingredienti.
chè i buoni a questo mondo non hanno vita facile, tantomeno così lunga.


on air/comaneci::our truth

9 settembre 2006

i lupetti e la volpe

c'erano giorni, poi, che il parco diventava teatro di malefici, come se un vento diabolico cominciasse a soffiare scompigliando i capelli dei piccoli ultras della roma, seduti su una panchina a mettere in pratica gli insegnamenti der cicala (identificazione dell'obiettivo, pianificazione dell'azione, elaborazione testo e acquisto bombolette spray).
infine un pomeriggio, il male si materializzò nelle fattezze di Elga, bionda, procace vigilessa, segretamente laziale.
- salve ragazzi.. - esordì con astio malcelato
- mmhh..- fecero i lupetti in coro
- mi chiedevo se qualcuno di voi, per caso, sapeva chi fosse l'autore delle scritte sul muro della scuola.. -
- perchè? ch'hanno scritto? - chiese il più piccolo con gli altri girati dalla parte opposta a ridere a crepapelle.
- più case meno lazziali ..sgrammaticato peraltro, ma io credo che voi sappiate chi ne sia l'autore -
insistette la vigilessa
- che male c'è..? er cicala dice che i muri sò le pagine bianche della nostra vita - rispose una vocina dall'interno di un agglomerato di pantaloni, maglietta e berretto giallorosso, tutti rigorosamente XXL.
- e che sta a noi riempirle - continuò
- quello era Mao, no er cicala - lo corresse subito un altro con le scarpe da basket slacciate.
-è vero..er cicala dice sempre che.. - cominciò a sbottonarsi il più piccolo, ma non riuscì a finire la frase che una gomitata del suo vicino in pieno plesso solare lo lasciò senza fiato.
Elga vista la malparata, attuando la strategia della malalingua principiò..
- vi hanno mai raccontato della volta che er cicala sbagliò a prendere l'autobus e si ritrovò per caso all'ikea? -

i bambini stringendosi l'un l'altro, rabbrividirono...


on air/polyphonic spree::light and day

3 settembre 2006

er cicala, i lupetti e la morale

- ..e così mamma capra raggiunse il lupo che si era addormentato, ormai sazio, sulla riva del fiume e con un sol colpo delle sue corna gli aprì la pancia dalla quale uscirono le caprette sane e salve.. -
er cicala seduto sulla panchina del parco raccontava favole per tenere buoni i piccoli tifosi della roma, quando:
- ..a cicà..e la morale? -
chiese a bruciapelo un piccolo ultrà
- la morale? -
chiese di rimando guardandolo fisso negli occhi
- masticare sempre bene. -
concluse laconico.
poi infilò le cuffie nelle orecchie, le mani nelle tasche e se ne andò.


in video/regina spektor::samson
(lei è BELLISSIMA!)

24 agosto 2006

er cicala e la formica

passare l'estate senza fare un cazzo fuorchè canticchiare appresso all'i-pod passeggiando con le mani in apnea nei tasconi dei jeans extralarge, gli era valso il soprannome.
quando un giorno di fine agosto, mentre dinoccolato camminava per il parco, ondeggiando ritmico, biascicante un gramelot anglofono e hippopparo..

-ma vai a lavorare..-

lo apostrofò una formica alla quale aveva inavvertitamente distrutto una mollichina.

-mavvaffanculo..-

e la schiacciò.


on air/la lupe::fever e
the last town chorus::modern love