I saraceni si allontanano alla ricerca di altri fuggitivi scampati all'attacco improvviso in quell'alba di un giorno d'ottobre. Il frate tremante rimane nascosto mentre una pioggia lieve e fredda comincia a cadere, poi, ormai zuppo, decide di uscire rimanendo nella vegetazione al lato del sentiero. Lentamente si avvicina al corpo di Memmo, riverso in una fanghiglia rosa, gli occhi ad un cielo, metallico e freddo come la punta di una freccia saracena, il frate lo tocca sul viso e chiude quegli occhi, ormai pieni di pioggia.
L'attacco saraceno al monastero costò la vita a più di quattrocento frati e seicento tra i lavoranti delle varie fabbriche monastiche e le loro famiglie. Anche coloro che tradirono i monaci furono uccisi dagli arabi, dopo aver loro promesso salva la vita e la libertà, li sgozzarono senza mantenere l'impegno. Qualche decina di frati riuscì comunque a fuggire, riparando a Capua. Successivamente tornati a Castel San Vincenzo ricostruiranno dieci anni dopo il monastero, al di là del fiume, più protetto e facilmente difendibile.
Trascorse due giorni e due notti nel bosco, il frate, solo e affamato, bevve al fiume al primo chiarore e raccolse qualche bacca. Nascosto ebbe tutto il tempo di pensare. Ai suoi genitori, a lui obbligato a vestire il saio, al suo fratello maggiore che diventava l'erede di tutti i beni di famiglia, alla sua curiosità ed alla passione per la farmacopea, al monaco responsabile del piccolo laboratorio dove si trasformavano le erbe e le piante officinali in pozioni e polveri, a come gli altri monaci lo guardassero sempre con un po' di diffidenza, erano in bilico perenne tra la magìa e la medicina, in quel laboratorio dove infezioni e cattive digestioni trovavano rimedio e conforto, dove l'occhio inquisitore di monaci spaventati da ciò che non comprendevano, cadeva sempre più spesso. Quel vecchio monaco lo aveva preso a ben volere e gli aveva affidato non solo i rudimenti dell'arte fitoterapica, ma di nascosto lo aveva iniziato verso quella alchemica, ed il frate sempre più spesso si trovava distante dal monastero in cerca di materie prime, piante, rocce, acque minerali che sgorgavano in pozze remote sulle montagne. Era felice per questo, un moto di ulteriore felicità lo scosse dal torpore quando realizzò che il suo compito di cercare materia l'aveva salvato dall'aggressione saracena, si mise in movimento, tornò verso il monastero, sperando che gli arabi fossero già andati via dopo il saccheggio, consapevole che il suo spirito non avrebbe retto al triste spettacolo che si accingeva ad avere dinnanzi.
Consuetudine araba era di far bottino non solo di beni materiali, ma anche di giovani donne e bambine, future schiave, amanti e fattrici per nuovi saraceni.
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